Revocatoria fallimentare: quando le garanzie tentano di "coprire" debiti pregressi.

Diritto Fallimentare: Revocatoria ex art. 67 L.F. ed ipoteca - ovvero quando le garanzie tentano di “coprire” debiti pregressi.



A cura dell'Avv.Tommaso Civitarese

L’argomento che si presenta attraverso l’esame della sentenza n. 19710 della Cassazione civile del 2 ottobre scorso è di assoluto rilievo e si ripercuote non solo sulla stretta casistica relativa alla revocatoria fallimentare ma investe, a più ampio spettro, l’istituto civilistico del collegamento negoziale anche conosciuto come collegamento funzionale tra contratti.

Il fatto storico posto all’attenzione della Corte infatti, riguarda il caso di un curatore fallimentare che proponeva l’azione ai sensi del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 64, o dell'art. 67, comma 1, n. 3 onde far dichiarare l’inefficacia di un’ipoteca iscritta sui beni di uno dei soci della società fallita (una s.n.c.) a seguito dell’erogazione di un mutuo da parte dell’istituto di credito alla società, versato sul conto della medesima solo due giorni dopo che la stessa aveva provveduto a girare (senza apparente motivazione) una somma analoga ma non corrispondente sul conto corrente del socio, in tal modo azzerando l’esposizione debitoria di quest’ultimo.

Tale operazione congiunta, secondo la curatela, ha fatto emergere l'intento delle parti di sostituire le pregresse esposizioni debitorie della società e del socio, non assistite da garanzie, con quella nuova derivante dal mutuo, garantita dall'ipoteca del socio, confermando che si trattava di un negozio indiretto, tradottosi nella sostituzione del debito chirografario con un altro di pari importo ma garantito dalla prelazione sui beni del socio, e quindi revocabile ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 3, in quanto avente come finalità la violazione della par condicio creditorum.

Come noto la legge fallimentare agli artt. 64 e ss disciplina specificatamente gli “effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori” prevedendo i casi in cui determinati atti compiuti dal fallito prima della dichiarazione di fallimento possano essere colpiti da inefficacia ovvero possano essere revocati dalla curatela.

Senza addentrarci nella analitica trattazione delle specifiche ipotesi, per quanto interessa nella presente nota basti ricordare che il richiamato testo di legge all’art. 67 comma 1 n. 3 prevede espressamente che sono revocati “i pegni, le anticresi e le ipoteche volontarie costituiti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento per debiti preesistenti non scaduti”.

Sotto l’alveo della testè richiamata disciplina quindi possono in generale confluire tutte quelle ipotesi (assai frequenti a dire il vero) in cui gli istituti di credito che vengono a conoscenza dello stato di dissesto finanziario di un proprio cliente si adoperano, tramite l’esecuzione di una pluralità di atti, per sostituire esposizioni debitorie non sorrette da alcuna garanzia, con aperture di credito “nuove” e garantite.

Tale comportamento, in sostanza, è finito sotto la lente d’ingrandimento della Suprema Corte nel caso che oggi ci occupa la quale ha ribadito il costante orientamento secondo cui “la stipulazione di una pluralità coordinata di negozi, aventi ciascuno una causa autonoma ma finalizzati nel loro complesso ad un regolamento unitario dei reciproci interessi, da luogo ad un fenomeno di collegamento negoziale, in virtù del quale, ferma restando l'individualità giuridica dei singoli negozi, ciascuno dei quali rimane assoggettato alla disciplina propria del tipo cui appartiene, si crea un vincolo di reciproca dipendenza, che comporta l'intercomunicabilità delle rispettive vicende”, richiamando quindi espressamente quanto dedotto in numerosissime decisioni del Supremo Collegio circa la sussistenza del c.d. collegamento funzionale tra negozi giuridici. (Cassazione Civ. n. 20726 del 1 ottobre 2014; Cassazione Civ. n. 7255 del 22 marzo 2013, n. 7255 del 10 luglio 2008)

In tali casi infatti si verifica una destinazione unitaria degli atti collegati ad un globale assetto d’interessi che non si potrebbe ottenere utilizzando l’uno o l’altro negozio soltanto, in vista del quale assetto il collegamento è voluto in modo vincolante per le parti. Di talché gli elementi costitutivi del collegamento negoziale si identificano nella pluralità dei negozi posti in essere dalle parti e nell’esistenza di una connessione teleologica tra i medesimi.

Tale principio risulta consolidato e scandito anche da pronunce risalenti nelle quali si afferma che, con il collegamento funzionale volontario, si realizza un legame causale tra due o più negozi, contestuali o successivi, volto al conseguimento di un risultato e di interessi che trascendono la funzione dei singoli negozi, i quali, nella loro sintesi, sono produttivi di effetti giuridici ulteriori che non coincidono con quelli dei contratti singolarmente considerati, costituendo ciascuno uno strumento volto al risultato finale (su tutte Cassazione Civ. n.2520 del 09 aprile 1983).

Va precisato inoltre, che laddove l’accertamento di interdipendenza tra i distinti negozi, come spesso si verifica e come nel caso di specie, non sia stabilito da una specifica clausola contrattuale, si risolve con il ricorso ai canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 e ss del Codice Civile, verificando concretamente se i singoli atti posti in essere dalle parti siano stati oggetto di considerazione unitaria nella volontà delle medesime, in maniera sia esplicita che implicita, al punto da determinare un’influenza reciproca sul piano esecutivo (V. sul punto Cassazione Civ. n. 3100 del 31 agosto 1987).

L’esposto ragionamento circa il collegamento tra diversi negozi giuridici si rende necessario al commento della sentenza in esame poiché, proprio partendo da tale assunto, il Supremo Collegio facendo proprie le suesposte argomentazioni, dichiarava legittime le pronunce di merito che avevano posto in revocatoria (e quindi resa inefficace) la costituzione dell’ipoteca volontaria iscritta sui beni di uno dei soci della s.n.c. fallita a garanzia di un credito solo formalmente relativo alla “nuova” apertura di credito mediante la concessione di un mutuo alla società ma che in realtà nascondeva l’intento ( rectius la volontà) delle parti di costituire una garanzia su pregresse esposizioni debitorie.

La Corte ha infatti ritenuto che seppure le operazioni avvenivano in contesti ed in tempi diversi, con una pluralità di atti apparentemente non connessi, gli stessi si sono poi rivelati, nella pratica, l’estrinsecazione di un progetto unitario che ha fatto passare in secondo piano la questione relativa ai modi e tempi di esecuzione dei singoli atti, compiuti all’evidente e solo fine di cercare di occultare qualsivoglia collegamento tra la concessione del mutuo ipotecario e l’estinzione dei debiti preesistenti.

Entrando poi nello specifico della materia fallimentare e sul solco delle appena citate argomentazioni, la stessa Sentenza in esame ripercorre l’ulteriore filone interpretativo già sancito dalla Corte secondo cui “ai fini della revocatoria ex art. 67, primo comma, legge fall., qualora venga stipulato un mutuo con concessione di ipoteca al solo fine di garantire - attraverso l'erogazione di somme poi rifluite, in forza di precedenti accordi e prefinanziamenti, per il tramite di un terzo, nelle casse della banca mutuante - una precedente esposizione dello stesso soggetto o di terzi, è configurabile, tra i negozi posti in essere, un collegamento funzionale, che persegue il motivo illecito della costituzione di ipoteca per debiti chirografari preesistenti.” (Cassazione Civ. n. 17200 del 9 ottobre 2012).

Rimane infine da chiarire il perché i Giudici di Piazza Cavour abbiano inteso confermare le decisioni di merito circa la revocabilità della sola garanzia ipotecaria non travolgendo l’intero accordo e quindi anche il contratto di mutuo.

Sul punto va precisato che, sebbene l’operazione effettuata abbia consentito di azzerare l’esposizione debitoria personale di uno dei soci quest’ultimo non si è liberato del tutto dai rapporti con l’istituto mutuante, rimanendo vincolato quale terzo datore di ipoteca e, comunque, alla stipulazione del contratto di mutuo è seguito effettivamente il versamento della somma mutuata e l’estinzione del debito.

Pertanto non si può parlare nè di simulazione poiché le parti non hanno creato una situazione di mera apparenza né di mancata conoscenza dello stato di insolvenza poiché proprio la macchinosa operazione posta in essere dalla banca e dal cliente dimostrano esattamente il contrario.

LA MASSIMA

La stipulazione di un mutuo ipotecario non destinato a procurare un'effettiva disponibilità al mutuatario, ma solo a garantire una precedente esposizione di quest'ultimo o di terzi, attraverso l'erogazione di somme poi rifluite, in forza di precedenti accordi e prefinanziamenti, nelle casse della banca mutuante per il tramite di un terzo, da luogo ad un'ipotesi di collegamento funzionale tra negozi che, in quanto avente come finalità la costituzione di una garanzia a favore di crediti chirografari preesistenti, in violazione della par condicio creditorum, giustifica, in caso di fallimento del debitore, la dichiarazione d'inefficacia dell'ipoteca, ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 3. Cass. civ. n. 19710 del 2 ottobre 2015.

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