Compravendita di immobile: le nuove regole contenute nella legge sulla concorrenza
La Legge 124 del 2017 introduce la facoltà di vincolare il prezzo della vendita fino ad avvenuta trascrizione dell’immobile
Il fine di tale norma è quella di tutelare maggiormente il compratore contro l’eventualità, ad esempio, che tra la data del rogito (o, meglio, la data dell’ultima ispezione dei registri immobiliari eseguita dal notaio rogante) e quella della sua trascrizione nei registri venga pubblicato un gravame (ipoteca, pignoramento, sequestro, ecc.) sull’immobile oggetto della vendita, circostanza che naturalmente andrebbe a discapito dell’acquirente che si troverebbe ad aver versato il prezzo senza avere il bene libero da vincoli.
Altra ipotesi potrebbe configurarsi nella concreta possibilità che il venditore proceda più volte alla vendita della stessa abitazione a vari acquirenti in buonafede, con la conseguenza che tra questi prevarrebbe chi per primo abbia provveduto alla trascrizione della compravendita.
Per tutelare quindi l’acquirente da tali ipotesi e da altre possibili nel panorama della compravendita, il legislatore ha previsto la facoltà per una delle parti del contratto (il reale interesse è in realtà in capo all’acquirente) di poter chiedere al notaio che proceda a tenere in deposito il saldo del prezzo destinato al venditore fino a quando non sia eseguita la formalità pubblicitaria con la quale si acquisisce la certezza che l’acquisto si è perfezionato senza subire gravami.
Ultimate in modo regolare tutte le formalità relative alla trascrizione dell’immobile, il notaio procederà quindi allo “svincolo” in favore del venditore della somma costituente il prezzo della compravendita.
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La sentenza in commento è essenzialmente incentrata sull’istituto del “mutuo di scopo”, ovvero di quel particolare tipo di mutuo caratterizzato dall’avere insito in sé il fine per il quale viene richiesto.
Nel casi di specie si tratta di una richiesta di mutuo richiesta da due soggetti e finalizzata all’acquisto di due automobili presso un rivenditore. Il mutuo veniva erogato dalla finanziaria preposta, ma, prima della consegna delle autovetture, il concessionario falliva, non consegnando, pertanto, le stesse vetture ai compratori.
Questi ultimi portavano in giudizio la società finanziaria chiedendo la restituzione dell’importo alla stessa versato a seguito di decreto ingiuntivo ottenuto dalla finanziaria dal tribunale.
Il giudice di prime cure, ed in seguito la corte d’appello, ritenevano fondate le ragioni degli attori sul rilievo che si verteva in ipotesi di mutuo di scopo e che, risoltosi il contratto (compravendita) in funzione del quale il mutuo era stato concesso, il mutuante avrebbe potuto richiedere la restituzione delle somme erogate non al mutuatario (acquirente), ma a chi aveva effettivamente ricevuto la somma mutuata, ovvero al venditore.
La società finanziaria, ricorrente in cassazione, ritiene, invece, che i finanziamenti non fossero da qualificare come operazioni di credito al consumo e che la risoluzione dei contratti di compravendita consentisse ai soggetti finanziati di non far fronte agli obblighi assunti verso il mutuante; ed inoltre asseriscono che l'enunciazione del motivo per il quale un finanziamento viene richiesto non lo trasforma in mutuo di scopo, non essendo consentito confondere il motivo con la causa di un negozio ed essendo nel contratto in questione chiaramente specificato (agli artt. 3 e 10) che le sorti del contratto di fornitura, inclusa l'ipotesi dell'eventuale mancata consegna del bene e di risoluzione del contratto stesso, non avrebbero avuto comunque influenza sugli obblighi di pagamento derivanti per il mutuatario dal finanziamento.
La terza sezione civile della Cassazione in primis osserva che, vertendosi in ipotesi di credito al consumo (introdotto con d. lgs. 1.9.1993, n. 365) e non di mutuo di scopo ed essendo la vicenda in questione risalente al 1987, le disposizioni di cui al menzionato decreto legislativo sono inapplicabili per il generale principio della irretroattività della legge, che la ricorrente non afferma del resto derogato nella specie.
In secondo luogo la Suprema Corte, rimarcando quanto già affermato dalla corte territoriale, evidenzia lo stretto legame funzionale esistente fra il contratto di compravendita e quello di mutuo, sia in ragione della convenzione stipulata nel 1986 tra la mutuante e la venditrice e degli stringenti obblighi reciproci, sia in relazione alle previsioni del contratto di mutuo, prevedente tra l'altro la specifica destinazione del finanziamento all'acquisto di veicoli determinati.
Per i giudici di piazza Cavour, quindi, nell'ipotesi di contratto di mutuo in cui sia previsto lo scopo del reimpiego della somma mutuata per l'acquisto di un determinato bene, il collegamento negoziale tra gli anzidetti contratti, per cui il mutuatario è obbligato all'utilizzazione della somma mutuata per la prevista acquisizione, comporta che della somma concessa in mutuo beneficia il venditore del bene, con la conseguenza che la risoluzione della compravendita del bene, che importa il venir meno dello stesso scopo del contratto di mutuo, legittima il mutuante a richiedere la restituzione della somma mutuata non al mutuatario, ma direttamente ed esclusivamente al venditore.
A conferma di ciò viene sottolineato come il collegamento tra più contratti tra loro interdipendenti per il raggiungimento di un fine ulteriore che supera i singoli effetti tipici di ciascun atto collegato, dia luogo ad un unico regolamento di interessi, che assume una propria e persa rilevanza causale in relazione alla sintesi degli interessi (c.d. causa concreta) che lo stesso è concretamente diretto a realizzare.
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