La questione morale delle licenze Creative Commons.

Le licenze Creative Commons Le “Creative Commons Public Licences” trovano origine, nel 2001, nell’idea di un gruppo di giuristi, appassionati cultori di diritto dell’informatica, legati al mondo universitario statunitense.



A cura dell'Avv. Francesco Minazzi

Commento alla sentenza del Tribunale di Milano, sent., 30 maggio 2016, n. 6766

  • 1. Le licenze Creative Commons

Le “Creative Commons Public Licences” trovano origine, nel 2001, nell’idea di un gruppo di giuristi, appassionati cultori di diritto dell’informatica, legati al mondo universitario statunitense: tradizionalmente, se ne attribuisce la paternità a Lawrence Lessig, docente di diritto presso la Stanford Law School .

Si tratta di un nuovo paradigma di gestione dei diritti d’autore, fondato su di un principio - opposto a quello tradizionale “Tutti i diritti riservati” - che si traduce nella locuzione “Solo alcuni diritti riservati”.

Obiettivo delle Licenze, invero, è favorire la diffusione e circolazione dell’opera, senza, tuttavia, perderne il controllo autoriale, bensì autorizzandone gratuitamente talune utilizzazioni .

E’ noto, infatti, che il diritto d’autore è un diritto soggettivo piuttosto assorbente, che conferisce forti tutele al suo titolare ed un pesante accentramento di facoltà: ogni utilizzazione deve essere espressamente autorizzata dall’autore, salve talune restrittive eccezioni previste dalla legge (cc.dd. “eccezioni e limitazioni” e, prima della Direttiva 2001/29/CE, “libere utilizzazioni” ).

Le Creative Commons sono, pertanto, documenti mediante cui il titolare del diritto concede al pubblico determinate possibilità di fruizione ed uso dell’opera dell’ingegno, in maniera tendenzialmente gratuita e purché siano rispettate precise condizioni.

Lo strumento cui si fa ricorso è la “licenza d’uso” , atto giuridico mutuato dal diritto anglossassone , con il quale il detentore dei diritti sull’opera regolamenta l’utilizzo e la distribuzione della stessa.

E’, dunque, anche un istituto di diritto privato, che fa leva sulle norme del diritto d’autore per specificare cosa sia possibile fare o meno con l’opera.

Non vanno, quindi, confuse con strumenti per tutelare il diritto d’autore (che sorge in capo al titolare con la creazione dell’opera), per accertarne la paternità o per acquistare diritti di utilizzazione economica.

Per quanto applicabili anche alle opere stampate, esse si attagliano perfettamente alle opere in forma digitale: sono, infatti, pensate – sulla falsariga delle licenze d’uso del software libero – essenzialmente per rispondere alle esigenze di circolazione e riuso della creazione tramite reti telematiche .

Pertanto, non negano la validità del diritto d’autore, ma si inscrivono direttamente nel sistema normativo a protezione di tale diritto – in Italia, la Legge 22.04.1941, n. 633.

Il progetto Creative Commons istituisce un set di licenze, che consente sei combinazioni diverse di facoltà: fermo restando l’obbligo in tutte di attribuire la paternità all’autore, possono legittimare o vietare l’uso commerciale, imporre la condivisione con la medesima licenza, permettere o vietare opere derivate, etc.

Esemplificando, un autore potrebbe avere interesse non ad una remunerazione economica diretta, bensì ad una diffusione elevata e capillare dell’opera, al fine di farsi conoscere, di assumere notorietà.

In tal caso, potrà rilasciarla alle condizioni della licenza CC-BY, che impone di indicarlo come autore, ma consente, al contempo, di farne uso commerciale ed ottenerne elaborazioni. Di conseguenza, nuovi autori potranno modificarla, migliorarla, elaborarla e farla circolare, purché menzionando sempre l’autore dell’opera originaria: l’effetto voluto dovrebbe essere quello di garantire una maggiore conoscibilità della stessa e del suo creatore , senza passare per la canonica cessione del diritto di sfruttamento economico, anche gratuita, per atto scritto, ma transitando per una generalizzata licenza, avulsa da specifiche sull’uso ammesso del contenuto autoriale.

Questo meccanismo fa, sostanzialmente, valere la modularità dei vari diritti di utilizzazione economica, che, ai sensi dell’articolo 19 della Legge 633/1941, sono fra loro indipendenti e possono essere concessi anche separatamente, ma senza dare specifica contezza al licenziante dell’uso che verrà fatto della sua opera.

Rimane aperto, quindi, il problema della sostenibilità sistemica delle licenze Creative Commons con il diritto morale d’autore, volendo questo breve scritto offrire alcuni spunti di riflessione in merito.

  • 2. Le Creative Commons nella giurisprudenza italiana

Sebbene si siano riscontrate già diverse pronunce inerenti tali licenze nella giurisprudenza straniera, assai più raramente esse alimentano il dibattito pretorio nelle aule italiane.

Ad oggi, sono note due pronunce del Tribunale di Milano, una del 19.12.2014 ed una – quella qui in commento, che ha fornito lo spunto per l’approfondimento – del 30.05.2016: esse hanno affrontato solo incidentalmente il tema e non certo sviscerandolo.

La prima , invero, concerne un caso di responsabilità precontrattuale, ascritta ad un editore per avere interrotto illecitamente le trattative con un autore, il quale tipicamente pubblica le proprie opere sotto il regime delle licenze in esame.

Dopo un’iniziale volontà di prdourre un’edizione dello scritto, l’editore dichiarava l’incompatibilità delle licenze libere con la propria politica commerciale.

La sentenza, come accennato, non si dà premura di enucleare i caratteri delle licenze (d’altronde, non avrebbe potuto costituire oggetto del thema decidendum), ma si limita a riconoscere la responsabilità dell’editore, dimostrando come questi non ne abbia compreso, pertanto, il funzionamento. Anche la seconda decisione verte sul tema della responsabilità, in questo caso derivante dall’indebito utilizzo dell’opera, oltre i limiti e le condizioni posti dalla licenza cui era sottoposta .

L’attore, infatti, chiedeva il risarcimento del danno ad un soggetto che aveva fatto uso commerciale di una sua fotografia, nonostante questa fosse stata rilasciata alle condizioni di una licenza Creative Commons che vietava lo sfruttamento commerciale dell’opera fotografica.

Chiaramente, come già evidenziato, le licenze non derogano in alcun modo – tantomeno potrebbero – alla stringente normativa autoriale, sicché la riproduzione a fini commerciali costituisce diritto esclusivo dell’autore, il quale solo può autorizzala in via esclusiva.

L’illegittimo utilizzo e l’incomprensione dei meccanismi della licenza, dunque, non hanno fatto altro che attivare la possibilità di invocare le norme a protezione del proprio diritto da parte del titolare.

Va detto, in aggiunta, che la violazione delle condizioni della licenza – per espressa previsione all’interno della stessa- fa decadere l’utilizzatore da ogni diritto che gli sia stato concesso.

Chiaramente, la scarsa frequenza di precedenti giudiziali lascia, al momento, spazi di incertezza interpretativa, di cui tener conto.

Può, però, certamente affermarsi che dette pronunce testimoniano la sicura collocazione delle licenze nell’ambito della legge sul diritto d’autore: conseguentemente, ne risultano invocabili tutti i rimedi ivi previsti, compresi quelli a tutela del diritto morale - certa causa di criticità a contatto con l’uso generalizzato della formula di licenza.

  • 3. Il diritto morale d’autore

Il diritto morale d’autore è un diritto della personalità, disciplinato negli articoli da 20 a 24 della legge 633/1941, che ne disegnano le diverse sfaccettature . Innanzitutto, indipendentemente dai diritti di utilizzazione economica ed anche dopo la loro cessione, l’autore di un’opera dell’ingegno conserva il diritto di rivendicarne la paternità, di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione od altra modificazione, ed a ogni atto a danno dell'opera stessa, che possano essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione.

In secondo luogo, l’autore di un’opera anonima o pseudonima ha facoltà di rivelarsi con le proprie vere generalità e farsi riconoscere con esse quale autore della medesima.

Appare chiaro, quindi, che si tratta di diritti legati alla sfera personale, intima e morale dell’autore (di qui il nome): non a caso il diritto morale è ciò che autorizza la più autorevole dottrina a ritenere il diritto d’autore un diritto della personalità, di conseguenza è assoluto, inalienabile, intrasmissibile e, soprattutto, non rinunciabile.

Ha un’estensione tale da poter essere esercitato, senza limiti di tempo, dagli eredi dell’autore ed addirittura dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ove sussistano esigenze pubbliche; è così pervasivo da conferire all’autore la facoltà di vietare ai suoi eredi la pubblicazione postuma delle opere inedite.

L’incisività del diritto morale è ben esemplificata anche dalla previsione di cui all’articolo 102-quinquies della legge 633/1941, secondo cui possono essere inserite informazioni sul regime dei diritti (cc.dd. DRM ) all’interno dell’opera: tali informazioni possono, tra le altre cose, indicare il nome dell’autore, attuando così il diritto alla paternità.

Ebbene, esso riveste così grande importanza che la rimozione dei DRM costituisce illecito penale, ai sensi dell’articolo 171-ter della legge 633/1941.

A ciò si aggiungano, quali ulteriori manifestazioni della forza del diritto morale, le disposizioni di cui agli articoli 22, 142 e 143 della citata legge sul diritto d’autore.

Il primo articolo rappresenta l’unica eccezione al diritto all’integrità dell’opera, statuendo che, se l’autore ha conosciuto e accettato le modifiche apportate all’opera, allora non è più abilitato ad opporvisi.

Il secondo e il terzo consentono all’autore, rispettivamente, il ritiro dell’opera dal commercio o il divieto, su ordine del Giudice, di riprodurla e diffonderla, per gravi ragioni morali: l’unico obbligo in capo all’autore è quello di indennizzare coloro che abbiano acquistato i diritti di utilizzazione.

Tali disposizioni di legge dimostrano, cioè, che l’autore può decidere delle sorti di un’opera – in virtù del suo diritto morale – anche successivamente alla sua pubblicazione, anche in spregio ad accordi presi con editori o altri interessati, se gli stessi non contemplavano espressamente i contorni dell’ammesso, del rispetto della propria personalità impressa ed espressa nell’opera: questa assolutezza origina il difficile rapporto tra licenze libere e diritto morale.

  • 4. La conciliabilità tra il diritto morale e lo strumento delle licenze libere

Alla luce delle caratteristiche appena evidenziate, è interessante notare come le licenze Creative Commons già in parte si sforzino di rispettare il diritto morale d’autore, pur potendosi intravedere profili di problematicità.

Peraltro, ad onta della loro grande diffusione, sono ancora poco frequenti casi specifici di violazione del diritto morale, dovendosi ragionare soprattutto per ipotesi.

Tutte le combinazioni di licenza Creative Commons, invero, sono di per sé rispettose di almeno uno dei profili del diritto morale, vale a dire quello che attiene alla paternità dell’opera: in qualsiasi versione, è fatto obbligo al licenziatario di attribuire l’opera al proprio autore.

Infatti, la più permissiva delle licenze è denominata CC-BY Attribution, in quanto l’obbligo principale posto in capo al fruitore è citare l’autore.

A ciò si aggiunga che il testo legale delle licenze espressamente recita:

Tutti i diritti morali irrinunciabili riconosciuti dalla legge applicabile rimangono riservati”.

D’altronde, il gruppo di studiosi italiani che ha curato la traduzione (c.d. porting) delle licenze in Italia aveva ben presente i limiti inderogabili del nostro ordinamento in tema di diritto d’autore, sicché ha compiuto non una mera opera di traduzione, ma anche di adattamento al contesto normativo.

Ad esempio, il testo italiano dichiara esplicitamente che

Al Licenziante spettano in ogni caso i compensi irrinunciabili a lui attribuiti dalla medesima legge (ad es. l'equo compenso spettante all'autore di opere musicali, cinematografiche, audiovisive o di sequenze di immagini in movimento nel caso di noleggio ai sensi dell'art. 18bis l. 633/1941)”: gli adattatori, dunque, hanno cercato di mantenere e richiamare nella licenza le previsioni di legge inderogabili, pur dimenticando le peculiarità rese necessarie dalla presenza del diritto morale d’autore.

Il riferimento netto all’irrinunciabilità, inserito nell’articolo 4 della licenza, sembra lasciar intendere una volontà di distinguere tra facoltà, derivanti dal diritto morale, assolutamente intoccabili ed altre validamente rinunciabili.

La tesi non è peregrina, posto che taluni Autori hanno rimesso in discussione la portata dell’articolo 22 Legge d’Autore, interrogandosi sulla possibilità di una rinuncia preventiva ad esercitare il diritto: da un lato, ipotizzando meri effetti obbligatori, assunti dal licenziante verso i destinatari, e, dall’altro, ipotizzando una preventiva accettazione delle modifiche dell’opera, valorizzando la funzione “liberatoria” delle Creative Commons.

Ciò, tuttavia, non esclude che rimanga perfettamente applicabile l’articolo 142 della Legge d’Autore, laddove l’uso fatto dal licenziatario sia di pregiudizio a decoro e reputazione dell’autore, specie in assenza di contorni descrittivi dell’uso dell’opera fatto dal licenziatario nel format di licenza predisposto dal sistema, in modo da lasciare aperto il vasto e labile fronte, perché soggettivo, della lesione dell’onore e della reputazione.

Si pensi, come esempio, a quei servizi telematici che consentono di caricare proprie opere in uno spazio di archiviazione condiviso con altri utenti, rendendole accessibili al pubblico.

Tipicamente, tali piattaforme sono strutturate in modo tale da mostrare all’utente molteplici opere in griglie o elenchi, affiancate le une alle altre; ovvero in modo tale che, qualora l’utente ricerchi una certa parola chiave, otterrà come risultato un set di opere associate a quella parola.

Tanto premesso, si immagini che una certa opera sia affiancata od associata ad altra di tipo completamente diverso e disapprovata dall’autore della prima: ad esempio, perché inneggiante all’odio, oppure perché pornografica oppure perché diffamante.

Altrimenti – peggio ancora – data la possibilità di modificare liberamente un’opera rilasciata sotto licenza Creative Commons, si pensi ad un’opera derivata che infanghi l’autore dell’originale, che ne leda il decoro e la reputazione.

Ben potrà argomentarsi, in tali casi, che l’autore ha titolo per ricorrere alla tutela offerta dal diritto morale, opponendosi ad una modificazione che reca pregiudizio al suo onore.

Episodi di questo genere non appaiono infrequenti in Rete, soprattutto nell’ambito dei social network: questi ultimi pullulano di immagini ritoccate – anche vere e proprie opere fotografiche – a fini goliardici, parodistici, satirici od offensivi.

In questi casi, dalla vincente pulsione di “ribelle libertà” innescata dal fenomeno, si passerebbe alla dolorosa sensazione del tradimento nel dover ricevere contestazioni da parte del “progressista e liberista” autore ovvero dai suoi aventi causa per traditio successoria (risultando il diritto morale, per giunta, imprescrittibile).

Si può concludere, anche in virtù dei citati precedenti giurisprudenziali, che le licenze Creative Commons non tanto (o non solo) presentano problemi di compatibilità netta con il profilo morale della tutela autoriale, capitalizzando la scarsa percezione del pubblico nella loro profonda ed evoluta essenza.

Paradigmatico è l’esempio del sito di digital publishingFlickr”, che aveva consentito ai fotografi di caricare le proprie opere e assoggettarle automaticamente a licenze libere: tempo dopo, gli stessi autori hanno ritirato le fotografie, nel momento in cui hanno realizzato che avrebbero potuto essere riutilizzate da terzi.

Evidentemente e allo stesso momento, anche i terzi hanno percepito l’incertezza nella disponibilità del diritto facilmente acquisito: il tutto a danno della circolazione del progresso culturale tanto apprezzato dalla nostra Costituzione e di certo rispettato nella legge sul diritto d’autore proprio e anche grazie alla disciplina del diritto morale d’autore.

La temporanea conclusione che può rassegnarsi è, pertanto, che sussiste tuttora – a distanza di tempo dalla loro creazione – una non adeguata comprensione del funzionamento delle licenze Creative Commons, ulteriormente aggravata dall’assenza di riscontri empirici chiari sulle implicazioni nel campo del diritto morale d’autore, il che può portare chi scrive ad un giudizio di mera dimensione commerciale ed imprenditoriale rispetto al descritto fenomeno poco consapevole e rispettoso, oppure strategicamente disattento rispetto agli equilibri giuridici garanti di stabilità privatistica e di mercato.

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