Diritto Civile. la rinuncia alla casa familiare da parte di un coniuge non determina in automatico un assegno di divorzio più sostanzioso. Cass. 19971/09.



Se la moglie rinuncia alla casa coniugale?

Non sempre il coniuge più debole è adeguatamente tutelato in sede di divorzio: si potrebbe  così sintetizzare la pronuncia in commento della Prima Sezione civile della Cassazione, la quale respinge tutti i motivi di ricorso presentati dalla ex moglie nei confronti di una sentenza della corte territoriale che le aveva dimezzato l'assegno divorzile.

La ricorrente sostiene che la corte di merito abbia violato gli artt. 5 e 6 della legge 898/70 come sancito dall'art. 3 Cost.:  nel pronunciarsi sull'assegno di divorzio non ha tenuto conto della rinuncia fatta dalla moglie dell'assegnazione della casa coniugale al momento della separazione stessa,nonchè della modestia del suo reddito e degli oneri vari di cui la medesima era gravata, compreso il canone di locazione.

Altro motivo di ricorso si basa sull'asserita mancanza di indagini tributarie a carico del coniuge.

Anche su questo punto i giudici di piazza Cavour ritengono non censurabile la decisione della corte territoriale, osservando infatti che rientra nella discrezionalità del giudice di merito decidere in ordine alle istanze istruttorie delle parti; tale discrezionalità non è censurabile in sede di legittimità; quando, come nella specie, il giudice di merito abbia fornito congrua ed esauriente motivazione in ordine al rigetto delle istanze stesse.

In conclusione il principio che emerge dalla sentenza è che il coniuge più debole deve sempre cercare di conservare l'alloggio familiare in cui vive, poichè un'eventuale rinuncia all'assegnazione, come nel caso di specie, non solo non serve ad ottenere un assegno di divorzio economicamente più consistente, ma non può essergli nemmeno riassegnata al solo fine di ovviare alle disaprità patrimoniale tra gli stessi coniugi.

Si riporta la sentenza per esteso della Cassazione Sezione prima, 6 maggio-16 settembre 2009 n. 19971.

Cassazione - Sezione prima -Sentenza 6 maggio - 16 settembre 2009, n. 19971

Svolgimento del processo

Nell'aprile 1996 il Tribunale di Bari aveva ad omologare la separazione consensuale tra i coniugi T.G. e B. M.; in quella sede, in particolare, il T. aveva assunto a suo carico un assegno di mantenimento in favore della moglie pari a L. 500.000.

Con sentenza n. 582 del 23 marzo 2004, il medesimo Tribunale, adito su ricorso del T., dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto con la B.. Nel contempo, tenuto conto della sproporzione dei redditi tra i coniugi e della loro diversa sistemazione abitativa, poneva a carico del T. "un assegno divorzile pari all'assegno di mantenimento già pattuito in sede di separazione e comprensivo di adeguamenti ISTAT già maturati alla data della domanda".

Nella motivazione della sentenza si ravvisavano giusti motivi per la compensazione delle spese, mentre nel dispositivo, se da un lato veniva ribadita detta compensazione, dall'altro il T. veniva condannato alla rifusione delle spese medesime.

Avverso detta sentenza interponeva gravame davanti alla Corte d'appello di Bari il T., chiedendo di essere mandato esente dall'obbligo di contribuire al mantenimento della B.; chiedeva inoltre la compensazione delle spese di primo grado e la condanna della B. al pagamento di quelle di secondo grado.

Resisteva all'appello la B. e, in via incidentale, chiedeva l'aumento dell'assegno divorzile ad Euro 600,00, o altra somma ritenuta di giustizia, con condanna del T. alle spese del doppio grado di giudizio e al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c.; in via istruttoria chiedeva licenziarsi indagini di polizia tributaria.

Acquisite agli atti le dichiarazioni dei redditi delle parti, la Corte territoriale, in parziale riforma della sentenza gravata, con pronuncia n. 745/2005 del 18 luglio 2005, condannava il T. a corrispondere alla B. un assegno di divorzio di Euro 150,00 mensili, con effetto dalla data della domanda, respingendo le istanze istruttorie della B.. Compensava tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Avverso detta sentenza ha interposto ricorso davanti a questa Corte B.M., affidandolo a quattro motivi. Ha resistito il T. con controricorso, nel quale è stato anche spiegato ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo.

Motivi della decisione

I ricorsi avverso la medesima sentenza vanno preliminarmente riuniti.

Prima di procedere alla disamina del ricorso principale, occorre esaminare l'eccezione preliminare del T., il quale deduce l'inammissibilità del ricorso stesso, per non essere stata riportata, a margine della copia notificata, la procura speciale ad litem, con asserita conseguente incertezza circa il rilascio del mandato al difensore della B. in data anteriore o coeva al ricorso stesso.

L'eccezione non può essere accolta. Come ha già avuto ad affermare questa Corte (v. ad es. Cass. 6.7.2001, n. 9206) la mancanza della procura ad litem sulla copia notificata del ricorso per cassazione non determina l'inammissibilità del ricorso, ove risulti che l'atto provenga da difensore già munito di mandato speciale. Nella specie, nella relazione di notifica l'ufficiale giudiziario ha dato atto che il ricorso era stato notificato "istante l'Avv. G.G. nella qualità in atti", ossia su richiesta del difensore della B.; tanto è sufficiente per far presumere che la procura alle liti sia stata rilasciata prima della notifica.

Ciò premesso, può procedersi all'esame del primo motivo del ricorso principale, con cui la B. denuncia "violazione e/o falsa e/o errata applicazione di legge con particolare riguardo al combinato disposto di cui all'art. 51 c.p.c., art. 52 c.p.c., e segg., e art. 24 Cost.", assumendo che uno dei Magistrati componenti il Collegio della Corte barese avrebbe dovuto astenersi dal decidere.

La ricorrente, in sede di udienza, ha peraltro rinunciato a tale motivo, che pertanto non deve essere scrutinato.

Con il secondo motivo di ricorso, rubricato "violazione o falsa e/o errata applicazione di legge con inesistente e/o omessa motivazione con riguardo alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, come rinovellata e art. 3 Cost.", la B. lamenta che la Corte territoriale abbia dimezzato l'assegno rispetto a quello previsto in sede di separazione, senza tener conto della sua rinuncia all'assegnazione della casa coniugale al momento della separazione stessa, nonchè della modestia del suo reddito e degli oneri vari di cui la medesima era gravata, compreso il canone di locazione dell'immobile abitato.

Il motivo è infondato. La Corte territoriale correttamente applicando i criteri di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, congrua e coerente, come tale non censurabile in questo giudizio, ha espresso compiutamente le ragioni in base alle quali aveva ritenuto di rideterminare l'ammontare dell'assegno di divorzio rispetto a quello di separazione.

Con il terzo motivo di ricorso, deducendo "violazione e/o falsa e/o errata motivazione, con omissiva e/o lacunosa e/o irragionevole motivazione con riguardo al combinato disposto di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 12 bis, come rinovellata e art. 345 c.p.c.", la B. lamenta che la Corte barese avrebbe erroneamente dichiarato inammissibile la domanda di corresponsione della quota del t.f.r. ex art. 12 bis L. div., siccome avanzata per la prima volta in sede d'appello.

Il motivo è infondato. La Corte territoriale, in puntuale applicazione dell'art. 345 c.p.c., ha correttamente dichiarato inammissibile la domanda della B., siccome avanzata per la prima volta in grado d'appello.

Con il quarto ed ultimo motivo, rubricato "violazione e/o errata e/o falsa applicazione di legge con omessa e/o lacunosa e/o omissiva motivazione con riguardo al combinato disposto di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 9, come rinovellata da L. n. 74 del 1987, artt. 174 e 187 c.p.c., ed ancora art. 24 Cost.", la B. censura la sentenza impugnata, nella parte in cui era stata disattesa la richiesta di indagini di polizia tributaria a carico del T..

Il motivo è inammissibile. Come è noto, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, rientra nella discrezionalità del giudice di merito decidere in ordine alle istanze istruttorie delle parti; detta discrezionalità non è censurabile in sede di legittimità quando, come nella specie, il giudice di merito abbia fornito congrua ed esauriente motivazione in ordine al rigetto delle istanze stesse.

Con l'unico motivo di ricorso incidentale, il T. deduce "violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei principi di diritto costantemente affermati dalla Suprema Corte. Art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, e sue modificazioni"; afferma invero che la Corte territoriale avrebbe errato nel liquidare assegno divorzile alla B., senza che ne ricorressero i presupposti.

Il motivo è infondato per le ragioni già in precedenza esposte in relazione alle contrapposta censura della ricorrente principale, avendo la Corte territoriale considerato correttamente i presupposti e fornito congrua ed esauriente motivazione in ordine alla spettanza di assegno divorzile alla B..

Entrambi i ricorsi devono pertanto essere respinti.

Sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di lite.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; dichiara compensate le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 6 maggio 2009.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2009

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La Corte di Cassazione con sentenza n. 9174 del 9 aprile 2008 si è pronunciata in relazione ad un accordo avente la rinuncia della comproprietà immobiliare da parte di un coniuge a favore dell'altro ritenuto parte di un progetto di separazione consensuale non andato a buon fine, essendo intervenuta tra i coniugi separazione giudiziale con addebito.

In tema di separazione consensuale, il regolamento concordato fra i coniugi ed avente ad oggetto la definizione dei loro rapporti patrimoniali, pur trovando la sua fonte nell'accordo delle parti, acquista efficacia giuridica solo in seguito al provvedimento di omologazione, al quale compete l'essenziale funzione di controllare che i patti intervenuti siano conformi ai superiori interessi della famiglia; ne consegue che, potendo le predette pattuizioni divenire parte costitutiva della separazione solo se questa è omologata, secondo la fattispecie complessa cui dà vita il procedimento di cui all'art. 711 c.p.c. in relazione all'art. 158 comma 1 c.c., in difetto di tale omologazione le pattuizioni convenute antecedentemente sono prive di efficacia giuridica, a meno che non si collochino in una posizione di autonomia in quanto non collegate al regime di separazione consensuale. Cass. civ., sez. I 9 aprile 2008 n. 9174

-In sede di separazione dei coniugi, qualora la rinuncia all'assegnazione della casa familiare fatta dal genitore collocatario dei figli non sia conforme all'interesse della prole, non è dato derogare alla regola che impone che la casa sia ad esso assegnata. Trib. Matera, 24 novembre 2007

La scelta di appartenenza ad una confessione religiosa tale da determinare l'allontanamento dalla casa conuigale e la rinuncia alla convivenza può rientrare nell'ambito dell'esercizio di un diritto costituzionalmente garantito?

In tema di separazione personale tra coniugi, il mutamento di fede religiosa - e la conseguente partecipazione alle pratiche collettive del nuovo culto - connettendosi all'esercizio dei diritti garantiti dall'art. 19 cost., non può, di per sè solo, considerarsi come ragione di addebito della separazione, a meno che non vengano superati i limiti di compatibilità con i concorrenti doveri di coniuge e di genitore fissati dagli art. 143, 147 c.c., determinandosi, per l'effetto, una situazione di improseguibilità della convivenza o di grave pregiudizio della prole. Cass. civ., 6 agosto 2004 n. 15241

 

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