"Networks": il contratto di rete quale strumento agevolativo d'impresa.

“Networks”: il contratto di rete quale strumento agevolativo d’impresa. Un’analisi dalla prospettiva del legislatore eurounitario.



A cura dell'Avv. Fabrizio De Stefano.

La disciplina del contratto di rete. L’art. 3, comma 4-ter e 4-quater del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5 (convertito con modificazioni dalla legge 9 aprile 2009, n. 33) ha introdotto nell’ordinamento italiano la figura del contratto di rete tra imprese.

Ispirandosi al modello dei c.d. network, questo nuovo strumento di collaborazione nell’attività d’impresa consente a più aziende, attraverso forme di aggregazione a “geometria variabile, di crescere e di competere sul mercato senza perdere la propria individualità, ma perseguendo obiettivi condivisi di “open innovation” e, al contempo, beneficiando di agevolazioni sotto il profilo del trattamento giuridico e fiscale.

Il testo attuale del comma 4-ter dell’articolo 3 del decreto-legge n. 5 del 2009, all’esito di numerosi interventi legislativi,(1) stabilisce che “[c]on il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato”(primo periodo).

Considerando la rete quale “fenomeno economico prima ancora che giuridico”, (2) il legislatore italiano non ha provveduto a dettare una disciplina analitica di tale contratto plurilaterale, optando per una tecnica di tipizzazione c.d. leggera.(3) Unica prescrizione rilevante, idonea a distinguere il nuovo strumento da altri tipi negoziali, consiste nella individuazione della causa del contratto di rete che deve essere connotata dai caratteri dell’innovatività e della competitività (4); il regolamento degli altri aspetti contrattuali è, invece, demandato in massima parte all’autonomia delle parti partecipanti all’accordo, le quali devono provvedere alla definizione di un programma di rete.

In tal senso, il comma 4-ter dell’art. 3 del decreto-legge citato prosegue stabilendo che, in base alle esigenze emergenti, una pluralità di imprese può liberamente decidere di collaborare e cooperare mediante modalità relazionali più o meno stringenti. In particolare, è precisato che “a tal fine [più imprenditori] si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme ed in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese, ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica, ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa” (primo periodo).

Il contratto di rete presenta, dunque, un oggetto che, a partire dal testo derivante dall’intervento legislativo del 2010,(5) risulta volutamente generico e che contribuisce a caratterizzare la nuova figura contrattuale quale strumento agevolativo d’impresa vocato alla flessibilità e duttilità, poiché non irrigidito all’interno di uno schema normativo dettagliato, come tipicamente accade in relazione agli altri contratti di collaborazione tra imprese (consorzio, distretto, franchising, subfornitura, associazioni temporanee di imprese, etc.).

Elementi costitutivi minimi, ma sufficienti per affermare la validità del contratto di rete sono quindi, sulla falsa riga dell’art 1325 c.c., la volontà di più imprenditori di aggregarsi in rete (accordo delle parti), la finalità di innovatività e competitività (causa), la definizione del c.d. programma di rete contenente nel dettaglio il regolamento contrattuale e che deve essere preventivamente asseverato da organismi espressione dell'associazionismo imprenditoriale (oggetto), oltre che il rispetto dei requisiti di forma e pubblicità prescritti ai sensi dell’art. 3 co. 4- ter e co.4- quater del suddetto decreto-legge (forma) (6).

Accanto alla creazione di un siffatto modello di rete c.d. semplice o “a struttura leggera”, il legislatore ha previsto la possibilità di integrare la struttura contrattuale attraverso l’inserimento di ulteriori elementi di cui, sebbene nel testo originario del decreto-legge fosse prescritta l’obbligatorietà, risultano attualmente accessori (rete c.d. “a struttura pesante”) (7).

Il comma 4-ter dell’art. 3 del decreto-legge citato chiarisce così che “[i]l contratto può anche prevedere l’istituzione di un fondo patrimoniale comune e la nomina di un organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso. Il contratto di rete, che prevede l’organo comune ed il fondo patrimoniale, non è dotato di soggettività giuridica, salva la facoltà di acquisto della stessa ai sensi del comma 4-quater ultima parte” (secondo e terzo periodo).

In primo luogo, è consentita l’istituzione di un fondo comune oppure, in alternativa, nelle società per azioni o nelle società in accomandita per azioni, la costituzione di uno specifico patrimonio destinato all’attuazione di un singolo affare ai sensi dell'articolo 2447-bis c.c.- nella specie, la realizzazione del programma di rete-. Tale previsione apre la strada per affermare l’autonomia patrimoniale perfetta della rete e dunque l’applicazione ad essa di un regime di responsabilità limitata in deroga al principio generale di cui all’art. 2740 c.c. Alla stregua di quanto accade per i consorzi con attività esterna ex art.2614 e 2615 c.c., “per le obbligazioni contratte dall’organo comune in relazione al programma di rete, i terzi possono far valere i loro diritti esclusivamente sul fondo comune” (art.3, comma 4-ter, quarto periodo, n. 2 del decreto-legge) che, viceversa, non può essere aggredito dai creditori particolari delle singole imprese retiste.

In secondo luogo, è ammessa la nomina di un organo comune che “agisce in rappresentanza della rete, quando essa acquista soggettività giuridica e, in assenza della soggettività, degli imprenditori, anche individuali, partecipanti al contratto salvo che sia diversamente disposto nello stesso” (art. 3, comma 4-ter, quarto periodo, n. 3, lett. e).

Infine, quale novità introdotta a seguito dell’intervento legislativo del 2012, (8) è contemplata la possibilità, per la rete dotata di fondo patrimoniale comune, di acquistare soggettività giuridica autonoma rispetto alle singole imprese partecipanti all’accordo, mediante “l'iscrizione nella sezione ordinaria del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sua sede” (art. 4-quater del decreto-legge). In tal caso, la rete diviene un autonomo soggetto passivo di imposta cui sono dovuti tutti i conseguenti obblighi tributari previsti ex lege. È importante ribadire che la soggettività giuridica non può mai essere attribuita alla rete automaticamente, ma solo su base volontaria.

A fini classificatori, la rete che, oltre a presentare gli elementi essenziali della c.d. “rete semplice”, si è dotata di un fondo patrimoniale (o patrimonio destinato ad un singolo affare ex art.2447-bis c.c.) o che è rappresentata da un organo comune, è definita “rete-contratto”; la rete che, oltre a tali ulteriori elementi accessori, ha anche acquistato la soggettività giuridica viene a formare, invece, una c.d. “rete soggetto”.

Le differenze esistenti fra “rete c.d. semplice”, “rete contratto” e “rete soggetto” si riverberano su diversi aspetti.

Sotto il profilo della rappresentanza, come chiarito dal testo dell’art. 3, comma 4-ter del decreto-legge, nelle c.d. “reti semplici” e nelle “reti contratto”, la titolarità dei rapporti giuridici è disciplinata secondo le tradizionali regole del mandato e della rappresentanza negoziale; nelle c.d. “reti soggetto” opera, invece, il modello della immedesimazione organica.

Sul piano fiscale, come confermato dall’Agenzia delle Entrate, nella circolare n. 15/E del 14 aprile 2011, “solo le imprese aderenti a contratti di rete che prevedano l’istituzione del fondo patrimoniale comune possono accedere all’agevolazione fiscale” di cui all’articolo 42, commi da 2-quater a 2-septies del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (intitolato “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”), convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.

Tale beneficio fiscale, previsto per il periodo di imposta 2010-2014 ed ora esteso dal DEF 2015 (Documento di economia e finanza), riveste particolare importanza nell’architettura della disciplina dell’istituto in questione, tanto che dottrina minoritaria (9) lo ha addirittura qualificato quale elemento specializzante del tipo contratto di rete.

Nella sostanza, si realizza per le “imprese che sottoscrivono o aderiscono a un contratto di rete” un differimento d’imposta, poiché “una quota degli utili dell'esercizio destinati (…) al fondo patrimoniale comune o al patrimonio destinato all'affare per realizzare entro l'esercizio successivo gli investimenti previsti dal programma comune di rete (…), se accantonati ad apposita riserva, concorrono alla formazione del reddito nell'esercizio in cui la riserva è utilizzata per scopi diversi dalla copertura di perdite di esercizio ovvero in cui viene meno l'adesione al contratto di rete.”

Dall’interpretazione della norma, emerge che beneficiarie dell’agevolazione fiscale possono essere solo le reti c.d. contratto. Dall’incentivo risultano, invero, escluse sia le reti c.d. semplici, perché non dotate di fondo patrimoniale, sia le imprese che costituiscono una rete c.d. soggetto poiché, come chiarito dall’Agenzia delle Entrate nella circolare 20/E del 18 giugno 2013, queste non realizzano direttamente gli investimenti previsti dal programma di rete, ma, invece, effettuano, solo in via indiretta, conferimenti ad un nuovo soggetto-rete da loro distinto. In tal guisa, “viene meno la possibilità per le imprese partecipanti al contratto di fruire dell’agevolazione fiscale (…), atteso che la stessa è condizionata alla realizzazione degli investimenti previsti dal programma di rete da parte delle «imprese che sottoscrivono o aderiscono a un contratto di rete»”.

Infine, in una prospettiva di diritto nazionale, giova evidenziare che la stipulazione di un contratto di rete comporta per le imprese partecipanti vantaggi anche in termini di certezza degli effetti giuridici, diradando i dubbi interpretativi che potrebbero eventualmente sorgere, in sede contenziosa, nell’ipotesi in cui il rapporto non fosse stato formalizzato. È ben possibile, infatti, che l’autorità giudiziaria, chiamata a pronunciarsi circa la natura giuridica dell’operazione economica in questione, possa decidere di qualificarla alla stregua di un rapporto di fatto, non fondato sul modello delle reti tra imprese (c.d. rete di fatto), ma bensì su altre figure giuridiche, in realtà non volute dalla parti, quali ad esempio quelle della società di fatto o occulta oppure del consorzio, etc. Da un siffatto difetto interpretativo deriverebbero ovviamente effetti negativi per le imprese dell’aggregazione: da una parte, la responsabilità solidale ed illimitata, dall’altra, ricorrendo le condizioni, la fallibilità.

  • Un’analisi dalla prospettiva del legislatore eurounitario.

La disciplina del contratto di rete, così come risultante dalla stratificazione dei diversi interventi legislativi succedutosi nel tempo, solleva numerosi spunti di riflessione nella prospettiva del legislatore eurounitario.

L’aggregazione tra imprese che operano sullo stesso mercato costituisce, difatti, un fenomeno che intrinsecamente produce un’alterazione dei normali equilibri e comportamenti di mercato per il solo e semplice fatto che imprese che cooperano tra loro attuano sicuramente condotte differenti rispetto a quelle che deriverebbero dal loro agire nello stesso contesto economico in maniera individuale, poiché sono portate a sostituire la logica di mercato con l’interesse della rete (10).

Per tali ragioni, la figura del contratto di rete è stata ripetutamente posta sotto la lente di ingrandimento della disciplina eurounitaria antitrust, con particolare riferimento alle materie degli aiuti di stato (art. 107 TFUE), del divieto di intese (art. 101 TFUE), dell’abuso di posizione dominante (art. 102 TFUE) e, infine, del controllo delle concentrazioni (Regolamento n. 139/2004).

Con riferimento al primo possibile terreno di scontro fra diritto nazionale e sopranazionale, si è osservato come la misura di agevolazione fiscale introdotta dal decreto-legge 78/2010 a sostegno della costituzione di reti di impresa, essendo posta a carico del gettito fiscale statale e gestita dall’amministrazione fiscale (Agenzia delle Entrate), potesse investire la disciplina europea sugli aiuti di Stato.

L’art. 107 co. 1 del TFUE, enucleando la nozione di aiuto vietato, stabilisce, infatti, che “[S]alvo deroghe contemplate dai trattati, sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza.”

Sul punto, la Commissione europea, alla cui autorizzazione secondo le procedure previste dall'art. 108, paragrafo 3, del TFUE era subordinata l’efficacia della misura nazionale (art. 42 co. 2-septies del D.L.78/2010), si è pronunciata con la Decisione C 939/2010 del 26 gennaio 2011.

Pur qualificando, da una parte, l’agevolazione in questione alla stregua di una sospensione d’imposta rientrante fra quelle misure che conferiscono vantaggi alle imprese e, pur confermando, dall’altra, che il vantaggio fiscale, seppur temporaneo, è concesso mediante risorse statali e, ancora, che incide sugli scambi, la Commissione europea ha, tuttavia, osservato che la misura non ha natura discriminatoria e non può considerarsi né selettiva, né settoriale, poiché ha portata generale.

Essa opera, infatti, a favore di tutti gli agenti economici (nazionali e non) che operano in Italia, a prescindere dal settore di attività, dalla dimensione aziendale, dalla localizzazione territoriale.

Per questi motivi, e sul presupposto che la rete di imprese non può essere considerata una entità distinta e non ha personalità giuridica autonoma – la decisione è stata emanata prima dell’intervento legislativo del 2012 -, la Commissione europea ha ritenuto che “la misura fiscale in esame non costituisce aiuto di Stato ai sensi dell'articolo 107, paragrafo 1, del TFUE.” In secondo luogo, continuando ad indagare i profili di diritto eurounitario, si è considerato che l’istituto del contratto di rete, così come strutturato a norma dell’art. 3 del decreto-legge n.5/2009, potesse configurare un’intesa anticoncorrenziale ai sensi dell’art. 101 co. 1 del TFUE e, in ambito nazionale, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 287/90, in quanto potenzialmente rientrante fra quegli accordi idonei a “pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno”.

In particolare, ci si è chiesti se l’accordo fra imprese, in cui consiste il contratto di rete, dovesse essere sanzionato con la nullità di pieno diritto prevista ai sensi art. 101 co. 2 del TFUE, in quanto anticoncorrenziale oppure se potesse rientrare nella esenzione espressamente prevista ai sensi dell’art. 101 co. 3 del TFUE, secondo cui non sono vietati gli accordi che “contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico.”

L’assonanza linguistica che si rinviene fra il testo descrittivo della specifica categoria di accordi esentata ex art. 101 co. 3 del TFUE e “lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato” di cui al comma 4-ter dell’art. 3 del decreto-legge n. 5/2009, dovrebbe suggellare la compatibilità fra l’istituto del contratto di rete e la disciplina antitrust, ma tuttavia, data la “geometria variabile” dell’accordo in oggetto, non può esistere una soluzione applicabile in maniera generalizzata a tutti i casi e le situazioni.

Sul punto è intervenuta l’Autorità per la Concorrenza ed il Mercato (AGCM), che con comunicazione n. 22362 del 16 maggio 2011 ha chiarito che “l’istituto del contratto di rete [può] essere ritenuto compatibile con i principi e le leggi in materia antitrust soltanto laddove esso sia chiaramente inteso ad accrescere la capacità innovativa e la competitività delle imprese aderenti, e non invece ad alterare le normali dinamiche concorrenziali presenti nel mercato.

Il ragionamento appare lineare: “[n]ello stipulare il contratto di rete è auspicabile che le imprese aderenti individuino chiaramente l’oggetto della cooperazione in modo che le ragioni dell’adesione siano ispirate a finalità pro-competitive.”

Per accertare, dunque, se la disciplina dettata per il contratto di rete costituisca una violazione alla disciplina antitrust, è necessario procedere ad un giudizio controfattuale che si risolve nell’accertare caso per caso se la causa concreta (e non solo astratta) del singolo contratto di rete, nonché le modalità di esecuzione ed attuazione dello stesso siano innovative. Occorre, nella sostanza, valutare se, operando un confronto fra la situazione di mercato generata dall’accordo e la situazione in assenza dello stesso, l’intervento produca effetti favorevoli sul mercato e, in via conseguenziale, sui consumatori (beneficiari finali della disciplina antitrust).

L’esame non può, quindi, prescindere da una serie di circostanze concrete quali le dimensioni delle imprese interessate, le soglie delle quote di mercato interessate, il tipo di condotta posta in essere e le caratteristiche del mercato di riferimento.

Nel caso in cui tale vaglio conduca ad un esito positivo, sarà applicabile la deroga ex art. 101, comma 3 del TFUE; al contrario, salvo l’applicazione del regime c.d. “de minimis” (accordi minori non vietati), opererà la nullità di cui all’art. 101 co. 2 del TFUE, che sanziona gli accordi anticoncorrenziali.

Proseguendo nella disamina dei possibili contrasti fra norma nazionale e disciplina eurounitaria, il contratto di rete può essere adoperato quale mezzo per le imprese retiste per acquisire una posizione dominante nel mercato.

Per posizione dominante deve intendersi “una posizione di potenza economica grazie alla quale l’impresa che la detiene è in grado di ostacolare la persistenza di una concorrenza effettiva sul mercato in questione ed ha la possibilità di tenere comportamenti alquanto indipendenti nei confronti dei concorrenti, dei clienti e, in ultima analisi, dei consumatori” (sentenza Hoffmann La Roche del 13 febbraio 1979).

L’art. 102 del TFUE e, in ambito nazionale, l’art. 3 della Legge 287/1990, in particolare, vietano, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio fra gli Stati membri, “lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato o su una parte sostanziale di questo”.

La nozione di abuso di posizione dominante “è una nozione oggettiva, che riguarda il comportamento dell’impresa in posizione dominante atto ad influire sulla struttura di un mercato in cui, proprio per il fatto che vi opera detta impresa, il grado di concorrenza è già sminuito e che ha come effetto di ostacolare, ricorrendo a mezzi diversi da quelli su cui si impernia la concorrenza normale tra prodotti e servizi, fondata sulle prestazioni degli operatori economici, la conservazione del grado di concorrenza ancora esistente sul mercato o lo sviluppo di detta concorrenza” (sentenza Hoffmann La Roche del 13 febbraio 1979).

L’aggregazione tra imprese, quale risultante dalla stipulazione del contratto di rete, potrebbe, pertanto, dare origine ad una posizione dominante c.d. collettiva, che si sostanzia proprio in presenza di una pluralità di imprese indipendenti che però sono “unite da vincoli economici che, per tale motivo, esse detengono insieme una posizione dominante rispetto agli altri operatori economici sullo stesso mercato” (sentenza SIV del 10 marzo 1992) e conseguenzialmente potrebbe agevolare il concretizzarsi di condotte abusive di sfruttamento di tale posizione a danno degli acquirenti o di esclusione dal mercato individuato degli altri competitors.

Infine, ultimo profilo di possibile incompatibilità della normativa italiana sul contratto di rete con l’ordinamento eurounitario, riguarda la disciplina sulle concentrazioni d’imprese prevista dal Regolamento n.139/2004, artt. 5 e 6 e, in ambito nazionale, dall’art. 7 Legge 287/1990.

Il contratto di rete potrebbe, infatti, costituire lo strumento per più imprese di realizzare operazioni di concentrazione (acquisizioni, fusioni, scissioni, controllo, etc.) allo scopo di ampliare la loro presenza e quota di mercato e ridurre il numero dei soggetti in questo operatori.

Tali iniziative non sono di per sé vietate, ma lo possono diventare, allorché risultino non essere compatibili con il mercato comune in quanto “ostacolino significativamente la concorrenza effettiva nel mercato comune o in una parte sostanziale di esso, in particolare a causa della creazione o del rafforzamento di una posizione dominante” (art. 2, par. 3 del Regolamento).

Si rammenta che, tuttavia, la procedura del regolamento è applicabile solo alle operazioni di concentrazioni che raggiungono una dimensione di rilevanza comunitaria - al di sotto di tale soglia rimane applicabile la normativa nazionale ex Legge 287/1990-.

  • Il contratto di rete quale strumento agevolativo d’impresa.

Per concludere, calandosi nella realtà industriale italiana, l’istituto del contratto di rete risulta particolarmente indicato per le piccole e medie imprese che decidono di collaborare tra loro senza perdere la loro autonomia.

Per esse, la nuova figura rappresenta, infatti, un “tool box” indispensabile per competere da protagoniste ed al pari delle grandi imprese su mercati sempre più globalizzati, nonché un’opportunità di internazionalizzazione (11) – così si esprime il DEF 2015, auspicando “la promozione del modello italiano di contratto di rete in Europa” -.

In particolare, lo strumento de quo è flessibile, perché la sua struttura si adatta, in maniera quasi sartoriale, alle esigenze industriali emergenti; è dinamico perché vocato all’evoluzione delle relazioni tra imprese che possono decidere di progredire da una rete c.d. semplice fino a una rete c.d. contratto o c.d. soggetto, compiendo un salto dimensionale; apporta stabilità, perché il programma di rete segna la “road map” che le imprese retiste devono intraprendere “allo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato”. (12)

L’aggregazione consente, inoltre, di superare le tradizionali fragilità strutturali connesse alle P.M.I. ossia la dimensione e la sottocapitalizzazione. L’accresciuta dimensione insieme alla definizione di un programma strategico, quali elementi posti alla base delle iniziative economiche della rete, garantiscono vantaggi anche in relazione all’accesso al credito: in primo luogo, in termini di minor costo del denaro, poiché l’ottimizzazione del “rating” aziendale, risultante dalla creazione della rete, permette di contrattare migliori condizioni di finanziamento; in secondo luogo, in termini di fruizione di fonti di finanziamento alternative (es. emanazione di “bond” di rete, come si verifica per i distretti); (13) in terzo luogo, seppur indirettamente, in termini di possibile risparmio generato dalla creazione di un’economia di scala.

Sul piano economico, è interessante osservare, inoltre, che le reti d’impresa sono, per un verso, beneficiarie di numerosissimi interventi di finanziamento regionale per lo più attuati nell’ambito della Programmazione Operativa Regionale del Fondo europeo di sviluppo regionale (POR FESR) e, per altro verso, che la stipulazione del contratto in questione non risulta contrastare con la fruizione da parte delle singole imprese retiste – o della rete c.d. soggetto- degli altri sistemi agevolativi d’impresa previsti dal legislatore nazionale.

In primo luogo, lo strumento della rete d’imprese risulta compatibile con l’agevolazione del credito d’imposta per investimenti in ricerca e sviluppo di cui all’art. 3 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, (noto come “decreto Destinazione Italia”), e poi integralmente sostituito dall’art. 1, comma 35, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di Stabilità 2015).

Con circolare n. 5/E del 16 Marzo 2016, l’Agenzia delle Entrate ha, infatti, affermato che «nel novero delle imprese beneficiarie sono ricompresi i consorzi e le reti di imprese, anche se il novellato articolo 3 non ripropone la previsione secondo la quale “sono destinatari del credito di imposta…anche i consorzi e le reti di impresa che effettuano l’attività di ricerca, sviluppo e innovazione”».

In secondo luogo, è confermata anche la possibilità di cumulare i vantaggi giuridici e fiscali discendenti dalla disciplina sulle reti d’impresa con le agevolazioni previste dalla normativa sul c.d. “patent box”, di cui all’art 1, commi da 37 a 45, legge n. 190/2014, che ha introdotto un regime opzionale di tassazione agevolata per i redditi derivanti dallo sfruttamento economico dei beni immateriali ottenuti dall'attività di ricerca, a condizione che l'impresa continui a svolgere attività di ricerca e sviluppo ai fini del mantenimento, dello sviluppo e dell’accrescimento degli stessi.

A tal riguardo, l’Agenzia delle Entrate, sempre nella circolare n.5/E del 2016, ha colto l’occasione per chiarire “che i costi rilevanti ai fini dell'attribuzione del credito di imposta per attività di ricerca e sviluppo rilevano per il loro intero importo anche ai fini della determinazione del reddito detassato nel regime di patent box.”

In terzo luogo, nessuna norma osta a che il regime in questione risulti compatibile anche con le agevolazioni previste per le c.d. start-up innovative di cui alla Legge 17 dicembre 2012, n. 221 (che ha convertito il D.L. Crescita 2.0- artt. 25-32), qualora siano rispettati i presupposti stabiliti dalla normativa. Tale limite, che non desta particolari problematicità con riferimento alle reti c.d. contratto – in tale ipotesi, sono le singole imprese retiste che devono dimostrare di possedere i requisiti di start-up innovativa -, risulta di non poco momento con riguardo alle reti c.d. soggetto, posto che, in sede di procedura di “ruling” con l’Agenzia delle Entrate, dovrà essere dimostrato che il nuovo soggetto non è stato costituito “da una fusione, scissione societaria o a seguito di cessione di azienda o di ramo di azienda” (requisito previsto dall’ articolo 25, comma 2, lett. g) del D.L. 179 del 2012).

Infine, le c.d. reti di imprese possono essere beneficiarie di varie altre agevolazioni: fra le altre, dei programmi di sviluppo attuati annualmente per decreto ministeriale in conformità con le disposizioni del regolamento (UE) n. 651/2014, valide per il periodo 2014 – 2020, e dei vantaggi previsti dal bando annuale per le reti di impresa per l’artigianato digitale.

A chiosa finale, non resta dunque che rimarcare la semplicità dello schema posto a fondamento dell’istituto del contratto di rete e le sue finalità. Esso si origina e si sostanzia nella semplice constatazione che più imprese, aggregandosi e lavorando insieme, possono diventare più innovative, creare più posti di lavoro, registrare più marchi e brevetti, etc. di quanto sarebbero capaci di fare da sole, e in tal modo contribuire in maniera definitiva al superamento della crisi economica che investe il sistema industriale italiano.

Ciò in corrispondenza con l’obiettivo posto dal legislatore italiano alla base della introduzione del decreto-legge n. 5/2009 (intitolato originariamente “Misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi”).

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(1) Art. 3 comma 4-ter e ss. del D.L. n. 5 del 10 febbraio 2009 (intitolato “Misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi, nonché disposizioni in materia di produzione lattiera e rateizzazione del debito nel settore lattiero-caseario”), convertito con modificazioni dalla L. 9 aprile 2009, n. 33, in seguito modificata da L.23 luglio 2009, n. 99 e ancora da D.L. n.78 del 31 maggio 2010 convertito dalla L. 30 luglio 2010 n. 122,dal D.L. 22 giugno 2012 n. 83 convertito con modificazioni, nella l. 7 agosto 2012, n. 134 ed infine dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 convertito, con modificazioni, nella L. 17 dicembre 2012, n. 221.

(2) ESPOSITO DE FALCO O., Il contratto di rete di imprese: brevi note sui profili fiscali tra vincoli europei ed ordinamento interno, in Il foro napoletano, 2, 2015, pag.327ss.; MOSCO G., Frammenti ricostruttivi sul contratto di rete, in Giurisprudenza commerciale, 6, 2010, pag. 839 ss.

(3) CIARALLI F.M., D’ORSI S., La destinazione patrimoniale nel transito da moduli tipici a forme atipiche di esercizio dell’impresa: l’archetipo del contratto di rete, in Rassegna Avvocatura dello Stato, Roma, 2016, 1, pag. 279 ss. La natura giuridica del contratto di rete è stata oggetto di un intenso dibattito dottrinale e giurisprudenziale. Da una parte, vi è chi propende per la tipicità, in quanto il contratto di rete risulta espressamente nominato dal legislatore; dall’altra, vi è chi lo definisce contratto trans-tipico, poiché lo strumento della rete, in forza della sua duttilità accompagnata da una tipizzazione c.d. leggera o anomala, si presta ad appartenere a modelli e tipi contrattuali già esistenti. La giurisprudenza (T.A.R. Firenze sez. I, del 25/02/2016, n. 346), specifica, in relazione alla natura di tale accordo, che: “Quanto alla natura di tale istituto giuridico, secondo alcuni sarebbe quello di creare un rapporto obbligatorio, mentre, secondo altre opinioni dottrinali, esso avrebbe una duplice natura e dovrebbe essere collocato tra i rapporti associativi o tra i rapporti di scambio a seconda delle connotazioni di volta in volta attribuite dalle parti al contratto.”

(4) CAPRARA A., Innovazione e impresa innovativa, in Contratto e impresa, 2015, 4-5, pag. 1154 ss.

(5) L’ampliamento nell’oggetto del contratto di rete è stato il frutto dell’intervento legislativo operato dal D.L. n.78 del 31 maggio 2010 convertito dalla L. 30 luglio 2010 n. 122: nel testo originario del decreto-legge, l’unica modalità di integrazione fra imprese consentita consisteva nell’“esercitare in comune una o più attività economiche rientranti nei rispettivi oggetti sociali”.

(6) APRARA A., Il contratto di rete e gli adempimenti pubblicitari: le pubblicità del contratto, in Giurisprudenza commerciale, 1, 2015, pag. 113 ss.

(7) ARRIGO T., Il contratto di rete. Profili giuridici, in Economia e diritto del terziario, 1, 2014, pag. 9 ss.

(8) Decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (cosiddetto decreto crescita), convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, e poi dall’articolo 36 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (cosiddetto decreto crescita-bis), convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221.

(9) CIARALLI F.M., D’ORSI S., La destinazione patrimoniale nel transito da moduli tipici a forme atipiche di esercizio dell’impresa: l’archetipo del contratto di rete, in Rassegna Avvocatura dello Stato, Roma, 2016, 1, pag. 279 ss.

(10) NERVI A., Contratto di rete e disciplina antitrust, in Rivista di diritto dell’impresa, 1, 2016 pag. 81 ss.

(11) GRANDINETTI R., Aggregarsi in rete: un’opportunità per le piccole imprese, in Economia e diritto del terziario, 1, 2014, pag. 7 ss.

(12) TUNISINI A., Il contratto di rete: opportunità e trappole da evitare, in Economia e diritto del terziario, 1, 2014, pag.41 ss.

(13) TAFURO A., Il contratto di rete: una lettura in chiave economico-aziendale, in Rivista dei dottori commercialisti, 3, 2011, pag. 643 ss.

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