DIRITTO PENITENZIARIO. Il diritto alla salute nell'ordinamento penitenziario.



IL DIRITTO ALLA SALUTE NELL'ORDINAMENTO PENITENZIARIO

- Diritto penale - Diritti dei detenuti. 

Avv. Salvatore Braghini - Presidente Antigone Abruzzo -

Quando si parla di diritto alla salute in carcere bisogna tenere presenti due diversi profili: il diritto a mantenere una buona condizione di salute per coloro che sono sani, e il diritto alla salute per i detenuti malati, come i tossicodipendenti o i sieropositivi, attraverso misure che garantiscano il diritto all’informazione sul proprio stato di salute, sui trattamenti che il medico vuole effettuare e il diritto a cure garantite. Ma sia nell’un senso sia nell’altro siamo sempre di fronte ad un diritto fondamentale, che, per tale motivo, seppure sotto profili diversi, attiene alla dignità della persona umana e sollecita i poteri statuali a garantirlo mediante il massimo degli sforzi possibili.

L’Ordinamento penitenziario pertanto contempla alcune disposizioni stabilite con la finalità di salvaguardare il diritto alla salute, tutelato, in via generale e primaria, dall’art. 32 della Costituzione, che implica il diritto ai trattamenti sanitari necessari per la sua tutela ed è garantito ad ogni persona, e, in via indiretta e con specifico riferimento all’esecuzione penale, dall’art. 27 co. 3 della Costituzione, che vieta l’adozione di pratiche contrarie al senso di umanità nel corso dell’esecuzione delle pene. Anche per i detenuti possiamo suddividere tale diritto, costituzionalmente connotato e protetto nel senso della conservazione di una buona salute e di cure assistenziali sanitarie, in più sub-diritti: il diritto all’integrità psico-fisica, il diritto ai trattamenti sanitari e all’autodeterminazione sanitaria, il diritto ad un ambiente salubre.

Tra questi, mentre il diritto ai trattamenti sanitari, all’autodeterminazione sanitaria e ad un ambiente salubre andrebbero collocati tra i diritti sociali, il diritto all’integrità psico-fisica (confermato anche dall’orientamento prevalente della Corte di Cassazione e dalla Corte Costituzionale) è configurabile come direttamente azionabile, quindi con una struttura simile ai diritti di libertà.

Ciò premesso, nell’ambito delle norme dell’Ordinamento penitenziario poste a tutela della salute dei detenuti possono distinguersi due settori principali: le norme di prevenzione, stabilite a salvaguardia della salute della generalità dei reclusi e le norme che disciplinano le cure e gli interventi di assistenza che si renda necessario attuare, nel contesto penitenziario, verso i singoli detenuti affetti da patologie.

Nel primo gruppo si possono ricomprendere le prescrizioni dettate in materia di vestiario, alimentazione, igiene personale, edilizia penitenziaria, permanenza all’aperto, attività sportive e ricreative, obbligo di visita in ogni istituto, almeno due volte l’anno, da parte del medico provinciale; mentre nel secondo settore la principale norma di riferimento è l’art. 11 O.p., che disciplina l’organizzazione del servizio sanitario negli istituti.

La materia sanitaria, peraltro, è ampiamente integrata da numerose disposizioni regolamentari, alcune delle quali specificano ulteriormente l’indirizzo legislativo che concepisce il Servizio Sanitario come una funzione a cui le risorse esterne collaborano continuamente.

L’art. 11 O.p. definisce i principi generali relativi ai servizi sanitari negli istituti penitenziari. Esso prevede anzitutto che ogni istituto penitenziario sia “dotato di servizio medico e di servizio farmaceutico rispondenti alle esigenze profilattiche e di cura della salute dei detenuti e degli internati” e che esso disponga dell’opera di almeno uno specialista in psichiatria [1].

Un utilizzo razionale delle risorse finanziarie e materiali destinate alle prestazioni sanitarie offerte ai detenuti non sempre, però, consente di garantire ogni tipo di prestazione in tutti gli istituti penitenziari. Ciò vuol dire che i reparti clinici e chirurgici sono organizzati in base alle effettive esigenze sanitarie della popolazione penitenziaria, ferma restando l’obbligatoria istituzione di un servizio medico e farmaceutico in ogni istituto penitenziario, così come la disponibilità dell’opera di almeno uno specialista [2].

L’assistenza sanitaria erogata all’interno degli istituti penitenziari, intesa come tutela preventiva della salute dei detenuti, è anche disciplinata dal comma 9 dell’art. 17 Reg. esec [3].

Sono garantite altresì le prestazioni sanitarie erogate dal Servizio sanitario nazionale, in quanto l’art. 18 Reg. esec. vieta che venga richiesta alle persone detenute o internate alcuna forma di partecipazione alla spesa per le prestazioni stesse. Viene prevista inoltre l’iscrizione obbligatoria al SSN, limitatamente al periodo detentivo, anche degli stranieri , i quali “hanno parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai cittadini liberi, a prescindere dal regolare titolo di permesso di soggiorno in Italia”.

Essendo prevista l’esclusione di tutti i detenuti dal sistema di compartecipazione alla spesa sanitaria per le prestazioni erogate dal SSN - senza bisogno di alcun ticket - il riconoscimento dell’esenzione risolve anche ogni problematica legata all’accertamento dello stato d’indigenza. Resta così garantito un eguale accesso alle prestazioni sanitarie per tutti, svincolata dall’attestazione dell’esenzione per patologia d’organo.

In relazione alle visite mediche nel corso della permanenza in istituto manca la previsione di precise cadenze temporali da imprimere ad esse, in quanto il legislatore si limita ad affermare che tale assistenza sanitaria viene prestata “con periodici e frequenti riscontri”.

Tutto ciò non significa, comunque, mancanza di attenzione o sottovalutazione, da parte dell’ordinamento, della posizione del singolo: la visita medica obbligatoria d’ingresso, da effettuare non oltre il giorno successivo all’ingresso in istituto, è infatti concepita in un’ottica di garanzia, in quanto è rivolta, da un lato, a riscontrare che il soggetto non abbia subito lesioni o maltrattamenti nella fase della cattura e delle attività di polizia, dall’altro, a rilevare cause influenti ai fini del rinvio dell’esecuzione della pena.

La previsione della visita medica generale all’atto di ingresso in carcere - che viene effettuata “allo scopo di accertare eventuali malattie fisiche o psichiche” - è funzionale all’efficacia di ogni eventuale successivo intervento di carattere sanitario nei confronti del detenuto. Dopo tale visita e prima dell’assegnazione al reparto, la prassi prevede lo svolgimento di un colloquio a carattere psicologico volto a stabilire il livello di rischio che il soggetto compia atti di auto o etero violenza.

La visita medica è estrinsecazione del dovere di assicurare un trattamento sanitario adeguato alle condizioni individuali. All’esito della visita medica e in caso di riscontro di patologia, i provvedimenti adottabili potranno consistere, in proporzione alla gravità della malattia e al livello di organizzazione del servizio sanitario dell’istituto, nel ricovero del detenuto in infermeria, in un centro clinico dell’Amministrazione penitenziaria, o, infine, in un luogo di cura esterno.

L’art. 19 Reg. esec., inoltre, si fa carico di specificare che ai detenuti e agli internati che hanno diritto di usufruire di prestazioni sanitarie a carico degli enti preposti all’assistenza sanitaria, le dette prestazioni sono fornite direttamente dall’Amministrazione penitenziaria in condizioni di assoluta parità con gli altri detenuti e internati (comma 1). Tali enti provvedono direttamente all’assistenza prevista dalle leggi vigenti nei confronti dei familiari dei detenuti e degli internati lavoratori (comma 3).

Ai sensi del comma II dell’art. 11 O.p. “Ove siano necessari cure o accertamenti diagnostici che non possono essere apprestati dai servizi sanitari degli istituti, i condannati e gli internati sono trasferiti, con provvedimento del magistrato di sorveglianza, in ospedali civili o altri luoghi esterni di cura”. Ai ricoveri in luoghi esterni si ricorre quindi nelle ipotesi in cui le cure o gli accertamenti non possano essere garantiti dai servizi sanitari all’interno degli istituti: tale impossibilità costituisce un parametro fondamentale. Il provvedimento con il quale viene disposto tale ricovero esterno è adottato, fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, dal giudice per le indagini preliminari; per gli imputati dopo la pronuncia della sentenza di primo grado e per i condannati e gli internati, dal magistrato di sorveglianza (art. 240 disp. att. c.p.p.).

Nei casi di assoluta urgenza, tuttavia, qualora non sia possibile ottenere l’immediata decisione della competente autorità giudiziaria, il Direttore dell’Istituto provvede direttamente al trasferimento, dandone contemporanea comunicazione alla predetta autorità (art. 17 comma 8 Reg. esec.).

La competenza del magistrato di sorveglianza sussiste solo nel caso di imputato in regime di custodia cautelare in carcere; diversamente, qualora l’imputato si trovi agli arresti domiciliari, la competenza a disporre il trasferimento in un ospedale esterno spetta, ai sensi dell’art. 279 c.p.p., al giudice che procede. Tuttavia, qualora l’accertamento delle condizioni psichiche di un imputato detenuto richieda il trasferimento in O.P.G., la competenza a provvedere spetta sempre all’autorità procedente, ai sensi dell’art. 99 Reg. esec. che disciplina specificamente la materia, non trovando applicazione, in tale ipotesi, la normativa generale dell’art. 11 comma II O.p.

Il provvedimento che nega il ricovero del detenuto in una struttura sanitaria esterna all’istituto non è impugnabile; la giurisprudenza è costante nel ritenere che tale atto abbia contenuto amministrativo e che non incida sulla libertà personale del soggetto, ma solo sulle modalità di detenzione: egli, anche se trasferito in ospedale, rimane in vinculis. Il ricovero in luoghi esterni di cura si svolge con le modalità previste dal comma III dell’art. 11 O.p.: vale, come principio generale, l’obbligo di piantonamento del detenuto, con la facoltà conferita al magistrato di disporre l’esonero dallo stesso sul presupposto che non vi sia pericolo di fuga, oppure qualora la costante custodia non risulti necessaria per la tutela della incolumità personale del detenuto. Un’eccezione a tale regime riguarda il semilibero ricoverato in luogo esterno di cura: l’art. 92 comma 7 Reg. esec. prevede espressamente che non ne sia disposto il piantonamento. La modifica del provvedimento di ricovero all’esterno, finalizzata a garantire le esigenze di sicurezza che siano sopravvenute, consente una certa flessibilità delle modalità attuative della misura: il piantonamento potrà essere in tali evenienze ripristinato; la competenza per la modifica e per la revoca non spetta al giudice che ha deciso il ricovero, ma a quello che abbia la disponibilità del processo nel momento in cui si renda necessario provvedere altrimenti.

L’art. 11 O.p. prevede che ogni istituto penitenziario disponga dell’opera di almeno uno specialista in psichiatria. Esso stabilisce inoltre che, nel caso di sospetto di malattia psichica, debbano essere adottati senza indugio i provvedimenti necessari, col rispetto delle norme concernenti l’assistenza psichiatrica e la sanità mentale. Sullo sfondo devono essere tenute presenti le norme in tema di accertamenti sulla capacità dell’imputato di partecipare coscientemente al procedimento (artt. 70-73 c.p.p.), la possibilità di disporre la custodia cautelare in luogo di cura (art. 286 c.p.p.), i provvedimenti di ricovero adottabili in caso di sopravvenienza di un’infermità psichica prima o durante l’esecuzione di una pena restrittiva della libertà personale (artt.148 c.p. e 678 c.p.p.), le disposizioni in ordine all’applicazione provvisoria, sospensione o trasformazione delle misure di sicurezza (artt. 206 e 212 c.p., artt. 678-680 c.p.p.), l’ergoterapia prevista dall’art. 20 O.p. comma 5 per i sottoposti alle misure di sicurezza della casa di cura e di custodia e dell’ospedale psichiatrico giudiziario.

L’art. 20 Reg. esec. detta particolari disposizioni per gli infermi e seminfermi di mente: la loro corrispondenza può essere sottoposta a visto di controllo anche per esigenze connesse al trattamento terapeutico; se idonei, possono essere ammessi al lavoro o, altrimenti, ad attività ergoterapiche; alla stessa condizione possono far parte delle rappresentanze e, viceversa, sono suscettibili di esserne esclusi a causa della mancanza di adeguate condizioni psichiche; in presenza di una “sufficiente capacità naturale che consenta loro coscienza dell’infrazione commessa” possono essere sottoposti a sanzioni disciplinari. Gli imputati, i condannati e gli internati possono essere assegnati all’ospedale psichiatrico giudiziario o alla casa di cura e custodia. Gli imputati e i condannati ai quali, nel corso della misura detentiva, sopravvenga un’infermità psichica che non comporti, rispettivamente, l’applicazione della misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario o l’ordine di ricovero nel medesimo o in casa di cura o custodia, sono assegnati ad un istituto o sezione speciale per infermi e minorati psichici.

L’accertamento delle condizioni psichiche degli imputati, dei condannati e degli internati è espletato nell’istituto in cui si trova il soggetto o, in caso di insufficienza di quel servizio diagnostico, in altro istituto della stessa categoria. In presenza di particolari motivi, le autorità competenti possono disporre che l’accertamento sia svolto in altri luoghi per un periodo di osservazione non superiore ai trenta giorni. All’esito dell’accertamento, se non vengono adottati i provvedimenti ai fini dei quali è stata disposta la diagnosi, l’autorità giudiziaria competente dispone il rientro nell’istituto di provenienza. Possono inoltre essere stipulate convenzioni tra Amministrazione penitenziaria e servizi territoriali extraospedalieri, previe intese con la Regione competente e secondo gli indirizzi del Ministero della Sanità, al fine di consentire il ricovero di soggetti destinati ad Ospedali Psichiatrici Giudiziari.

Nell’ambito dell’integrità fisica - che costituisce una dimensione del più generale diritto alla salute - l’Ordinamento penitenziario, agli art. 41 e 42, disciplina un limite in negativo al ricorso alla forza da parte del personale di Polizia penitenziaria, in modo che non se ne abusi, mentre, in positivo, prevede, in caso di particolari esigenze di cura della persona, il trasferimento presso un altro Istituto penitenziario (art. 42 c. I O.p.) o, quando neppure questo sia adatto, presso ospedali civili o altri luoghi esterni di cura (art. 11 c. II O.p.). In caso di condizioni incompatibili con lo stato detentivo, ci sarà la revoca della custodia cautelare in carcere o il differimento dell’esecuzione della pena (art. 275 c. 4 bis c.p.p. e 147 c.1 n. 2 c.p.).

Infine, trattando il peculiare aspetto del diritto alla salute che integra il diritto ad un ambiente salubre, trovano considerazione alcune previsioni circa le qualità degli ambienti e delle strutture che devono ospitare i reclusi (artt. 6 ss. O.p. e artt. 6 ss. Reg. esec.) e la qualità della vita dei soggetti. Si può affermare che il diritto all’ambiente salubre trova un suo dimensionamento nel vivere in un ambiente ‘degno’ per una persona umana o, più semplicemente, come diritto a vivere una vita ‘degna dell’uomo’. In questo senso, possono richiamarsi le disposizioni dell’Ordinamento penitenziario che riguardano le modalità di realizzazione dei nuovi edifici penitenziari, i quali devono, ad esempio, assicurare la differenziazione tra locali di soggiorno e di pernottamento (artt. 5 e 6 O.p.), nonché, più in generale, le prescrizioni rivolte genericamente a salvaguardare la salute del detenuto e a contenere le cause che potrebbero determinare il crearsi di un ambiente insalubre, quali quelle relative al vestiario e al corredo da fornire a ciascun detenuto (art. 7 O.p.), all’uso dei servizi igienici e alle forniture di oggetti necessari alla pulizia personale (art. 8 O.p.), alle caratteristiche dell’alimentazione e alla somministrazione del vitto (art. 9 O.p.), alla permanenza all’aria aperta per un determinato tempo giornaliero (art. 10 O.p.).

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[1] Il comma 1 dell’art. 17 Reg. esec. afferma che “I detenuti e gli internati usufruiscono dell’assistenza sanitaria secondo le disposizioni delle vigente normativa” e il comma 3 della stessa disposizione aggiunge: “L’assistenza sanitaria viene prestata all’interno degli istituti penitenziari, salvo quanto previsto dal secondo comma dell’articolo 11 della legge”.

[2] Il comma 4 dell’art. 17 Reg. esec. Dispone quanto segue: “Sulla base delle indicazioni desunte dalla rilevazione e dall’analisi delle esigenze sanitarie della popolazione penitenziaria, sono organizzati, con opportune dislocazioni nel territorio nazionale, reparti clinici e chirurgici

[3] Ai sensi del quale, “In ogni istituto devono essere svolte con continuità attività di medicina preventiva che rilevino, segnalino ed intervengano in merito alle situazioni che possono favorire lo sviluppo di forme patologiche, comprese quelle collegabili alle prolungate situazioni di inerzia o di riduzione del movimento e dell’attività fisica”.

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