L’obsolescenza programmata e la durabilità dei beni di consumo.

L’insieme di tecniche volte a ridurre deliberatamente la durata di un prodotto per aumentare il suo tasso di sostituzione all'esame del TAR Lazio.



Nota a T.A.R. Lazio-Roma, sentenza n. 5736 del 29 maggio 2020 

a cura dell'Avv. Andrea D'Amico

Con la sentenza in commento il T.A.R. del Lazio-Roma conferma la condanna pronunciata dall’A.G.C.M. con provv. n. 27365 del 25.9.2018 (caso PS11039) in danno di Apple Inc., Apple Distribution International, Apple Italia S.r.l. e Apple Retail Italia S.r.l. (in avanti tutte congiuntamente: “Apple”) per l’asserito ricorso a pratiche commerciali scorrette in violazione degli artt. 20, 21, 22 e 24 del d.lgs. 206/2005 (“c.cons”). 

Come meglio si vedrà di seguito, la sentenza (ed ancor prima il procedimento avviato dall’A.G.C.M.) presentano profili di interesse in quanto lambiscono un tema sin qui tanto noto ai consumatori, quanto poco praticato nelle sedi amministrative e/o giudiziarie italiane: quello della cd. “obsolescenza programmata”, intesa come l’insieme di tecniche volte a ridurre deliberatamente la durata di un prodotto per aumentare il suo tasso di sostituzione (n.d.r.: in assenza di una soddisfacente definizione a livello nazionale è stato qui adattato il contenuto dell’art. 1 441-2 del vigente “Code de la consommation” francese, a norma del cui article L441-2 “Est interdite la pratique de l’obsolescence programmée qui se définit par le recours à des techniques par lesquelles le responsable de la mise sur le marché d’un produit vise à en réduire délibérément la durée de vie pour en augmenter le taux de remplacement”).

Di seguito si illustreranno gli antefatti sostanziali alla pronuncia in commento, nonché i principali arresti del T.A.R., per poi spendere qualche parola di commento sul vigente stato dell’arte in materia di obsolescenza programmata e, più in generale, di “durata” del bene di consumo.

LA VICENDA

In data 10.1.2018 l’A.G.C.M. comunicava ad Apple l’apertura del procedimento istruttorio n. PS11039 per possibile violazione degli artt. 20, 21, 22 e 24 del Codice del Consumo, contestando le pratiche commerciali di seguito descritte:

“A) la proposta insistente, ai consumatori in possesso di iPhone 6/6plus/6s/6splus, di procedere ad installare il sistema operativo iOS 10 e i successivi aggiornamenti (tra cui iOS 10.2.1) le cui caratteristiche e impatto sulle prestazioni degli smartphone stessi sono state descritte in maniera omissiva ed ingannevole, senza offrire (se non in misura limitata o tardiva) alcun mezzo di ripristino dell’originaria funzionalità degli apparecchi in caso di sperimentata diminuzione delle prestazioni a seguito dell’aggiornamento (…);

B) la mancata informazione sulle caratteristiche della batteria e specificamente in merito alle condizioni per mantenere un adeguato livello di prestazioni degli iPhone, alla sua durata e alle modalità per la sua corretta gestione al fine di rallentarne la naturale usura e, quindi, in merito alla sostituzione della medesima batteria”.

In corso di procedura l’A.G.C.M. accertava che Apple era solita sviluppare e rilasciare annualmente numerosi aggiornamenti software (ivi compresa, in particolare, una nuova versione di “iOS”, il proprio sistema operativo operante sugli iPhone). L’aggiornamento operava in modalità “firmware over the air” e veniva preceduto da appositi messaggi, riproposti ripetutamente sino all’avvenuta installazione, in cui: (a) venivano sinteticamente evidenziati solo i miglioramenti attesi, senza chiarire i più generali effetti dell’aggiornamento sul dispositivo in uso agli utenti; e (b) non veniva chiarita l’impossibilità di ritornare alle precedenti versioni del sistema operativo (cd. “downgrading”) a seguito dell’installazione dell’aggiornamento. 

Dal provvedimento dell’A.G.C.M. si apprende, altresì, che: (i) taluni aggiornamenti (particolarmente il sistema iOS10), se installati su dispositivi dotati di hardware meno recente e/o di una componentistica meno efficiente (particolarmente gli iPhone della serie 6), ne avrebbero comportato l’improvviso rallentamento e/o lo spegnimento anche in presenza di una buona carica residua; (ii) per risolvere i problemi di efficienza energetica succitati Apple, con iOS10.2.1, avrebbe introdotto una funzione di power management; (iii) iOS10.2.1 avrebbe provocato una riduzione di performance dei dispositivi con batterie non perfettamente efficiente; (iv) nel corso dell’anno Apple 2017 avrebbe offerto alla clientela la possibilità di cambiare le batterie al litio (di cui veniva riconosciuto il decadimento di prestazioni più o meno repentino) del proprio iPhone ad un prezzo di favore, pur subordinando l’operazione al ripristino dell’integrità dello schermo (che sui modelli interessati va rimosso con l’ausilio di un tecnico qualificato onde poter sostituire la batteria), con conseguenti maggiori oneri a carico del consumatore; (v) Apple non avrebbe permesso ai propri utenti di adottare soluzioni alternative di bilanciamento tra prestazioni e necessità d’uso, ad esempio consentendo loro di operare il downgrading del sistema operativo e/o di ridurre selettivamente le funzionalità apportate dagli aggiornamenti; (vi) Apple, pur essendo a conoscenza del problema, avrebbe fornito alla propria clientela informazioni solo parziali e comunque tardivamente; (vii) Apple, attraverso le pratiche contestate, unite alle caratteristiche tecniche dei propri dispositivi, agli oneri di riparazione succitati, e ad apposite policy commerciali e di marketing, avrebbe favorito cd. “trade in” dei propri prodotti (il mantenimento di un elevato tasso di sostituzione degli apparecchi in possesso dei consumatori con apparecchi nuovi e più recenti del medesimo produttore).

In corso di istruttoria Apple replicava puntualmente alle censure mossele dall’A.G.C.M., deducendo, in particolare, un’errata interpretazione dei dati tecnici da parte dell’Autorità, la necessità (soprattutto sotto il profilo della sicurezza) di apportare aggiornamenti al firmware e la conseguente inopportunità (oltre che impossibilità tecnica) del downgrading, la somministrazione ai consumatori di informazioni esaustive, l’assenza di un piano di obsolescenza programmata, l’insuscettibilità della propria condotta – peraltro, a dire di Apple, priva dei caratteri di aggressività e/o di ingannevolezza – ad alterare le valutazioni dei consumatori, nonché l’assenza di vantaggi economici per Apple stessa.

Ad esito del procedimento, l’A.G.C.M., ritenendo che le pratiche commerciali A) e B) contestate fossero contrarie alla diligenza professionale, nonché idonee a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore medio, reputava, in particolare: (a) ingannevole per omissione il complesso delle misure prese da Apple in relazione al rilascio di aggiornamenti con previa indicazione dei soli miglioramenti attesi e senza avvertimento circa i rischi di possibili riduzioni delle prestazioni in certe condizioni d’uso; (b) aggressiva la pratica commerciale volta a rivolgere al consumatore continui inviti ad aggiornare il proprio dispositivo, lasciandogli la sola possibilità di ritardare l’aggiornamento ma non anche quella di evitarlo; (c) ingannevole per omissione la pratica commerciale volta a non fornire ai consumatori complete informazioni in merito ad elementi essenziali per la fruibilità degli iPhone quali la vita media e deteriorabilità delle relative batterie le corrette procedure per mantenerne un adeguato livello di prestazioni. 

Per l’effetto, l’A.G.C.M. dichiarava le pratiche A) e B) contestate illegittime per violazione, rispettivamente, degli artt. 20, 21, 22 e 24 c.cons., e dell’art. 22 c.cons., irrogando, per l’effetto, le sanzioni pecuniarie, inibitorie e di tipo pubblicitario di cui all’art. 27 c.cons..

LA DECISIONE DEL T.A.R.

Esaurita la fase amministrativa, Apple impugnava il provvedimento dell’A.G.C.M., nonché gli atti ad esso presupposti e conseguenti, affidandosi a dieci motivi di ricorso (oltre a motivi aggiunti che, tuttavia, in questa sede non verranno né menzionati, né esaminati in quanto vertenti su profili eminentemente formali). 

Ad esito del giudizio il T.A.R. rigettava il ricorso di Apple affermando, per quanto qui interessa, che:

(i) per “pratiche commerciali” si intendono tutti i comportamenti tenuti da professionisti che siano oggettivamente “correlati” alla “promozione, vendita o fornitura” di beni e/o servizi a consumatori, e posti in essere anteriormente, contestualmente o anche posteriormente all’instaurazione dei rapporti contrattuali, ivi compreso, dunque, il rilascio di aggiornamenti;

(ii) l’omessa informativa ai consumatori circa possibili malfunzionamenti e/o la perdita di performance conseguenti all’installazione degli aggiornamenti costituisce una grave carenza, “alla quale non può sopperire il suggerimento rivolto al consumatore, contestualmente all’invito all’installazione dell’aggiornamento, di visitare una pagina internet per avere chiarimenti sui contenuti di sicurezza degli aggiornamenti”. In tal modo il T.A.R. ha inteso dare continuità all’insegnamento giurisprudenziale secondo il quale “La scorrettezza della pratica commerciale, in ordine alla reale portata del prodotto, non può ritenersi sanata dalla possibilità per il consumatore di ottenere aliunde, o anche in un momento immediatamente successivo, ulteriori dettagli informativi, laddove il messaggio promozionale, attraverso il suo contenuto non trasparente, determinato dalle modalità di presentazione del prodotto, risulta già idoneo ad agganciare il consumatore al primo contatto” (enfasi aggiunta; conformi, tra le altre, T.A.R. Lazio-Roma nn. 5529/2020, 1418/2020, 312/2017, 3557/2015, 6596/2012);

(iii) il claim pubblicitari che per primi catturano l’attenzione del consumatore “devono sempre essere connotati da tutti gli elementi essenziali per un corretto e obiettivo discernimento” (enfasi aggiunta; conformi, tra le altre, T.A.R. Lazio-Roma nn. 8253/2015, 633/2010);

(iv) “la completezza e la veridicità di un messaggio promozionale vanno verificate nell’ambito dello stesso contesto di comunicazione commerciale e non già sulla base di ulteriori informazioni che l’operatore commerciale rende disponibili solo a effetto promozionale già avvenuto” (enfasi aggiunta; conformi, tra le altre, T.A.R. Lazio-Roma nn. 1523/2018, 1177/2013, 4138/2009);

(v) stante l’asimmetria informativa tra Apple ed il consumatore medio, bene aveva fatto l’A.G.C.M. a ritenere che l’onere di individuare dei modelli astrattamente compatibili con un determinato aggiornamento firmware, nonché di valutare e ponderare l’impatto degli aggiornamenti rilasciati per i dispositivi già in uso non potesse che gravare sul professionista e, dunque, su Apple;

(vi) le pratiche commerciali descritte nel provvedimento dell’A.G.C.M. impugnato sarebbero tali da condizionare fortemente il consumatore nelle proprie scelte, inducendolo a sostituire i propri dispositivi a marchio Apple con altri più nuovi della stessa Apple (“trade-in”), stanti: (a) il fatto che “tutti e soltanto i device Apple funzionano con il sistema operativo iOS, di proprietà della stessa Apple, sistema operativo che non consente a tali dispositivi di interfacciarsi con i dispositivi di altre marche, facenti capo a professionisti altrettanto competitivi e leader sul mercato mondiale, i quali funzionano con differenti sistemi operativi”; (b) “la periodica, frequente e insistente proposizione di aggiornamenti software che, di fatto, una volta scaricati, rallentano e riducono le funzionalità dei modelli di iPhone meno recenti, senza che il possessore ne sia informato o pienamente consapevole”; e (c) l’impossibilità di sostituire la componentistica dell’iPhone autonomamente e senza l’ausilio offerto da un apposito centro assistenza “per di più spesso incontrando serie difficoltà ad ottenere la sostituzione in garanzia di un componente (batteria) se ne risulta danneggiato un altro (display)”;

(vii) le informazioni relative alla batteria costituiscono aspetti essenziali di un dispositivo elettronico (in quanto ne condizionano le prestazioni e la durata) “e, come tali, sarebbero dovute essere rese disponibili ai consumatori”.

BREVE STATO DELL'ARTE SUL FENOMENO DELL'OBSOLESCENZA PROGRAMMATA E SULLA DURABILITA' DEI BENI DI CONSUMO

La sentenza in commento consente di svolgere talune riflessioni sull’obsolescenza programmata, nonché sulla durabilità dei beni di consumo, fenomeni che, allo stato, non trovano una espressa menzione all’interno del panorama normativo italiano.

Risultano allo Studio del Parlamento taluni disegni di legge in materia, tra i quali figura il d.d.l. n. 615, attualmente all’esame della 10° commissione permanente (industria, commercio, turismo) del Senato, che prevede, in particolare, di introdurre nel c.cons. una definizione del fenomeno dell’obsolescenza programmata, appositi obblighi e divieti in capo ai produttori (presidiati da sanzioni in caso di inosservanza), nonché l’estensione dei termini relativi alla garanzia per difetti di conformità. 

A livello U.E. l’attenzione sulla durabilità dei beni di consumo è stata confermata dalla direttiva n. 771/2019 (la cui data ultima di recepimento è il giorno 1.7.2021, con efficacia a partire dal giorno 1.1.2022), che al considerando 32 afferma, in particolare: “Assicurare una maggiore durabilità dei beni è importante per raggiungere modelli di consumo più sostenibili e un’economia circolare. È inoltre essenziale impedire l’accesso al mercato dell’Unione ai beni non conformi, rafforzando la vigilanza del mercato e fornendo i giusti incentivi agli operatori economici, al fine di accrescere la fiducia nel funzionamento del mercato interno. (…) la durabilità dovrebbe riferirsi alla capacità dei beni di mantenere le loro funzioni e prestazioni richieste in condizioni di uso normale. Per essere conformi, i beni dovrebbero possedere la durabilità considerata normale per beni del medesimo tipo e che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi, tenuto conto della natura dei beni specifici, inclusa l’eventuale necessità di una manutenzione ragionevole dei beni, come l’ispezione periodica o il cambio dei filtri in un’automobile, e delle dichiarazioni pubbliche fatte da o per conto di persone che costituiscono un passaggio nella catena di transazioni commerciali. La valutazione dovrebbe altresì tener conto di tutte le altre circostanze pertinenti, quali il prezzo dei beni e l’intensità o la frequenza con cui il consumatore usa i beni (…)” (enfasi aggiunta).

I testi succitati confermano l’intenzione del Legislatore sia europeo che nazionale di inserire espressamente la durabilità (un aspetto della quale non può che essere costituito dalla “riparabilità”) tra le caratteristiche merceologiche principali dei beni di consumo, con chiare ricadute in particolare in tema di pratiche commerciali poste in essere da professionisti, nonché di vizi redibitori e/o difetti di conformità. La pronuncia in commento, in tal senso, pare precorrere tematiche che verosimilmente verranno sottoposte con maggior frequenza all’attenzione degli uffici giudiziari negli anni a venire. Sarà interessante, a tal proposito, verificare la tenuta delle tesi del T.A.R. dinanzi al Cons. Stato, in caso di eventuale appello da parte di Apple, nonché le possibili ricadute sul piano civilistico che avrà la sentenza in commento, potendo essa ingenerare possibili azioni individuali o di classe.

In conclusione, occorre dare atto che, allo stato, risultano ancora pendenti presso il T.A.R. del Lazio-Roma, due procedimenti aventi contenuto affine a quello sopra descritto, attivati da Samsung Electronics Italia S.p.A. e Samsung Electronics Co. Ltd. (congiuntamente: “Samsung”) avverso il provv. dell’A.G.C.M. n. 27363 del 25.9.2018 (caso PS11009), con il quale l’Autorità ha condannato Samsung per violazione degli artt. 20, 21, 22 e 24 c.cons. per la pratica commerciale consistente:

“a) nella proposta insistente, ai consumatori in possesso di Note 4, di aggiornamenti del firmware basati sulla versione Marshmallow del sistema operativo Android che hanno provocato riduzioni delle prestazioni dei propri smartphone, dapprima con continui rallentamenti e riavvi automatici per poi finanche giungere allo spegnimento totale;

b) nella descrizione in maniera omissiva ed ingannevole delle caratteristiche di tali aggiornamenti e del loro impatto sulle prestazioni dello smartphone;

c) nell’aver limitato gli interventi di ripristino dell’originaria funzionalità dell’apparecchio, compromessa dagli aggiornamenti di cui al punto a), alla sola sostituzione di parti rilevanti dell’hardware qualora gli smartphone fossero ancora coperti dalla garanzia legale di conformità, senza prevedere interventi alternativi (quale il downgrading) o estendere sistematicamente gli interventi in garanzia per le problematiche di cui al punto a) anche agli apparecchi fuori garanzia”.

L’esito di entrambe le procedure incardinate da Samsung è tutt’ora incerto, avendo il T.A.R. rimesso al merito ogni pronuncia relativa alle istanze presentate in via cautelare da Samsung. 

L’esito di tali giudizi contribuirà certamente a delineare ulteriormente l’orientamento giurisprudenziale in materia.

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