Reato di abbandono di incapace: configurabile a carico dell'amministratore di sostegno?
Reato di abbandono di incapace: insussistenza dei presupposti di configurabilità a carico dell’amministratore di sostegno.
A cura della Dott.ssa Iolanda Raffaele
La Corte di Cassazione sezione VI penale con la sentenza del 26 febbraio 2016, n. 7974 ha inteso escludere la configurabilità a carico dell’amministratore di sostegno del reato di abbandono di incapace, per insussistenza dei presupposti previsti dalla legge, chiarendo in modo dettaglio la posizione di tale soggetto in conformità alla legge 6/2004 e alle disposizioni codicistiche.
In primo luogo, il supremo organo ha evidenziato che il delitto di abbandono di persone minori o incapaci, previsto dall’art. 591 c.p., è annoverato dalla dottrina nella categoria dei reati propri, che possono essere commessi solo da parte del soggetto che rivesta una posizione di garanzia verso il soggetto passivo, sia esso un minore o un incapace.
In particolare, la condotta prevista dalla norma consiste nell’abbandono della vittima ossia nella sottrazione volontaria anche parziale o temporanea dei propri obblighi di cura o di custodia nella consapevolezza di esporre a pericolo la vita o l’incolumità individuale del soggetto incapace di occuparsene da solo.
D’altra parte secondo l’orientamento rigoroso seguito e richiamato dalla stessa Corte la fattispecie penale non tutela il rispetto dell’obbligo legale di assistenza in sé considerato, ma il valore etico - sociale della sicurezza della persona fisica contro determinate situazioni di pericolo, che non deve necessariamente essersi realizzato; mentre la condotta di abbandono è integrata da qualunque azione o omissione in contrasto con il dovere giuridico di cura o di custodia, che grava sul soggetto agente e da cui derivi uno stato di pericolo, anche potenziale, per la vita o l’incolumità del soggetto passivo.
Orbene, nel caso oggetto di esame della presente sentenza la condotta di abbandono incriminata è non aver segnalato agli organi di riferimento la necessità di un ricovero immediato dell’amministrata in una struttura protetta e viene legata alla colpa, per difetto di diligenza e prudenza, pertanto la Corte afferma la necessità di esaminare la clausola di equivalenza dell’art. 40 c.p. c.2.
Infatti, nell’accertamento degli obblighi impeditivi posti a carico di un soggetto che si trova in una posizione di garanzia, occorre considerare la fonte da cui deriva l’obbligo giuridico protettivo ossia la legge, il contratto, la precedente attività svolta o altra fonte e successivamente valutare sia le finalità protettive fondanti la posizione di garanzia, sia la natura dei beni dei quali è titolare il soggetto garantito, i quali costituiscono l’obiettivo della tutela rafforzata alla cui effettività mira la clausola dell’equivalenza.
Relativamente all’art. 591 c.p., che trova applicazione nella fattispecie de qua, non vi è alcun limite all’individuazione delle fonti da cui derivano gli obblighi di custodia e assistenza che proteggono quel bene e, in tal senso, rilevano le norme giuridiche di qualsiasi natura, le convenzioni pubbliche o private, i regolamenti o gli ordini legittimi di servizio, rivolti alla tutela della persona umana in ogni condizione e segmento del percorso che va dalla nascita alla morte.
Sulla funzione, l’ambito di applicazione e i rapporti dell’istituto dell’amministratore di sostegno con gli altri istituti a tutela dell’incapace, ossia interdizione e inabilitazione, è invece intervenuta la prima sezione civile della Corte di Cassazione precisando che la legge n. 6 del 9 gennaio 2004 all’art 1 attribuisce all’amministratore di sostegno “la finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte dell’autonomia nell’espletamento delle funzioni di vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente”.
Inoltre, l’art. 404 c.c., nel testo modificato da tale legge, afferma che “la persona che, per effetto di un’infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare”; l’art. 414 c.c., nella formulazione modificata, dispone che il maggiore di età e il minore emancipato affetti da abituale infermità di mente che li renda incapaci di provvedere ai propri interessi, sono interdetti “quando ciò è necessario per assicurare la loro adeguata protezione”, e l’art. 415 c.c. prevede l’inabilitazione per una serie di soggetti il cui stato non sia “talmente grave da far luogo all’interdizione”.
Importante è anche la sentenza n. 440 del 2005 con cui la Corte Costituzionale, investita della tematica del discrimen tra i tre istituti per stabilire i criteri selettivi, ha affermato che “la complessiva disciplina inserita dalla L. n. 6 del 9 gennaio 2004, sulle preesistenti norme del codice civile affida al giudice il compito di individuare l’istituto che, da un lato, garantisca all’incapace la tutela più adeguata alla fattispecie e, dall’altro, limiti nella minore misura possibile la sua capacità; e consente, ove la scelta cada sull’amministrazione di sostegno, che l’ambito dei poteri dell’amministratore sia puntualmente correlato alle caratteristiche del caso concreto.
Solo se non ravvisi interventi di sostegno idonei ad assicurare all’incapace siffatta protezione, il giudice può ricorrere alle ben più invasive misure dell’inabilitazione o dell’interdizione, che attribuiscono uno status di incapacità, estesa per l’inabilitato agli atti di straordinaria amministrazione e per l’interdetto anche a quelli di amministrazione ordinaria”.
Altresì, la Corte Costituzionale ha osservato che l’amministrazione di sostegno ha la finalità di offrire a chi si trova nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minor misura possibile la capacità di agire, distinguendosi con tale specifica funzione, dagli altri istituti a tutela degli incapaci, quali l’interdizione e l’inabilitazione, non soppressi, ma solo modificati dalla stessa legge attraverso la novellazione degli artt. 414 e 427 c.c..
Rispetto ai predetti istituti, l’ambito di applicazione dell’amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa (Cass. civ., sez. I,11/09/2015, n. 17962).
Ne consegue che, nello svolgimento dei suoi compiti, l’amministratore di sostegno deve tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario ed è gravato, dunque, da questo dovere di ascolto, e da quello di informare tempestivamente e preventivamente sia il beneficiario sugli atti da compiere, sia,in caso di dissenso con il soggetto assistito, il giudice tutelare il quale dovrà superare il contrasto, indicando all’amministratore la via da seguire. In definitiva, l’amministratore di sostegno è certamente tenuto a relazionare periodicamente sull’attività svolta e sulle condizioni di vita personale e sociale del beneficiario, ma il suo compito precipuo resta quello di assistere la persona nella gestione dei propri interessi patrimoniali e non anche la “cura della persona”, poiché l’art. 357 c.c. che indica tale funzione a proposito del tutore non rientra tra le disposizioni richiamate dall’art. 411 tra le “norme applicabili all’amministrazione di sostegno”.
A ciò si aggiunga che poiché il decreto di nomina contiene la definizione dei poteri e degli obblighi dell’amministratore e l’individuazione, in relazione alla specificità della situazione e delle esigenze del soggetto amministrato, degli atti che l’amministratore ha il potere di compiere in nome e per conto di quest’ultimo e quelli che costui può compiere da solo, in mancanza di apposite previsioni da parte dello stesso l’amministratore di sostegno non assume una posizione di garanzia rispetto ai beni della vita e dell’incolumità individuale del soggetto incapace.
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 7974/2016 vuole, dunque, esprimere il principio di diritto secondo cui il ruolo dell’amministratore di sostegno è di aiutare a gestire i propri interessi patrimoniali le persone che non siano in grado di provvedervi autonomamente e non può estendersi fino a ricomprendere anche la cura della persona o la garanzia rispetto ai beni della vita e dell'incolumità individuale del soggetto posto sotto la sua assistenza, salvo diverse ed apposite previsioni contenute nel decreto di nomina. In tali condizioni non è, pertanto, possibile ascrivere allo stesso alcun reato di abbandono di incapace ex art. 591 c.p., che richiede, al contrario, per la sua configurabilità un soggetto che riveste una posizione di garanzia nei confronti del minore o dell’incapace.
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