E' applicabile alla figura del giudice di pace l'art. 2087 c.c.?

Tra la figura del giudice di pace e il Ministero non vi è un rapporto di pubblico impiego e ciò esclude l'applicazione dell'art. 2087 c.c.



Il caso

Un giudice pace citava in giudizio il Ministero della Giustizia chiedendone il risarcimento dei danni alla salute, morale ed esistenziale, conseguiti all'infezione provocata dal batterio della tubercolosi contratta nell'ambiente di lavoro e la condanna dell'Inail alla liquidazione della rendita ovvero al pagamento della somma spettante in capitale.

La domanda, respinta in primo grado, veniva impugnata, ma anche la corte di merito la rigettava ritenendo che l'art. 2087 c.c., non trovasse applicazione nella fattispecie dedotta in giudizio poichè non sussisteva tra il Ministero ed il ricorrente un rapporto di pubblico impiego, in quanto quest'ultimo aveva lavorato nella qualità di magistrato onorario. Infatti solo nell'atto di appello quest'ultimo aveva fatto riferimento alla responsabilità ex art. 2043 c.c., e al solo fine di invocare una interpretazione estensiva dell'art. 2087 c.c., ai sensi dell'art. 32 Cost., e degli artt. 1175 e 1375 c.c. Quanto poi alle domande formulate nei confronti dell'Inail, la Corte territoriale aveva ritenuto che i giudici di pace non rientrano tra i soggetti obbligatoriamente assicurati dall'Inail ai sensi del D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 1 e 4, e del D.Lgs. n. 38 del 2000, e tanto sia dal punto di vista oggettivo (lavorazioni protette) sia sotto il profilo soggettivo difettando i requisiti della subordinazione e della parasubordinazione. Tale pronuncia veniva quindi impugnata per cassazione.

La decisione della Cassazione

Alla Suprema Corte viene chiesto di pronunciarsi in merito all'applicazione dell'art. 2087 c.c. anche nei confronti dei giudici di pace, in quanto soggetti che non potrebbero ritenersi estranei all'ambiente di lavoro. La Corte, nel rigettare l'assunto posto alla base del ricorso, parte dall'analisi della categoria dei funzionari onorari, della quale fa parte il giudice di pace - categoria istituita dalla legge 21 novembre 1991, n. 374, art. 1, comma 2, che parla di "magistrato onorario" e che ricorre quando esiste un rapporto di servizio volontario con attribuzione di funzioni pubbliche, ma senza la presenza degli elementi che caratterizzano l'impiego pubblico.

I due rapporti si distinguono in base ai seguenti elementi:

1) la scelta del funzionario, che nell'impiego pubblico viene effettuata mediante procedure concorsuali ed è, quindi, di carattere tecnico-amministrativo, mentre per le funzioni onorarie è di natura politico-discrezionale;

2) l'inserimento nell'apparato organizzativo della pubblica amministrazione, che è strutturale e professionale per il pubblico impiegato e meramente funzionale per il funzionario onorario;

3) lo svolgimento del rapporto, che nel pubblico impiego è regolato da un apposito statuto, mentre nell'esercizio di funzioni onorarie è privo di una specifica disciplina, quest'ultima potendo essere individuata unicamente nell'atto di conferimento dell'incarico e nella natura di tale incarico;

4) il compenso, che consiste in una vera e propria retribuzione, inerente al rapporto sinallagmatico costituito fra le parti, con riferimento al pubblico impiegato e che invece, riguardo al funzionario onorario, ha carattere meramente indennitario e, in senso lato, di ristoro degli oneri sostenuti;

5) la durata del rapporto che, di norma, è a tempo indeterminato nel pubblico impiego e a termine (anche se vi è la possibilità del rinnovo dell'incarico) quanto al funzionario onorario.

Tali principi sono stati richiamati nelle decisioni dalla Cassazione n. 17862/2016, n. 22569/2015, n. 9155/2005, che hanno escluso l'inquadrabilità della figura giuridica del giudice di pace in quella della parasubordinazione, delineata dall'art. 409 c.p.c., n. 3).

Anche recentissima pronuncia le Sezioni Unite n. 13721 del 2017 hanno confermato tale inquadramento della figura del giudice di pace nella categoria dei funzionari onorari, ricorrendo un rapporto di servizio volontario, con attribuzione di funzioni pubbliche, ma senza la presenza degli elementi che caratterizzano l'impiego pubblico.

Gli ermellini in tale pronuncia si sono inoltre soffermati sull'art. 54 Cost., che costituisce l'unica fonte della disciplina costituzionale dell'attribuzione di funzioni pubbliche al cittadino al di fuori del rapporto di pubblico impiego, ed il quale esclude qualsiasi connotato di sinallagmaticità tra esercizio delle funzioni e trattamento economico per tale esercizio, che è, invece, proprio di quel rapporto.

Anche nella sentenza in commento i giudici di legittimità concordano nel ritenere che l'esclusione di qualsiasi connotato di sinallagmaticità tra esercizio delle funzioni di giudice di pace e trattamento economico per tale esercizio e la consequenziale natura indennitaria dell'erogazione erariale per l'esercizio di una funzione pubblica portano il rapporto col Ministero della giustizia al di fuori dal rapporto di lavoro e, dunque, al di fuori del perimetro assistenziale e previdenziale approntato dall'art. 38 Cost. 

Peraltro in tal senso è la L. 28 aprile 2016, n. 57 (Delega al Governo per la riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace), che all'art. 2, comma 13, lett. f), indica come principio direttivo, per il futuro, quello di "individuare e regolare un regime previdenziale e assistenziale compatibile con la natura onoraria dell'incarico, senza oneri per la finanza pubblica, prevedendo l'acquisizione delle risorse necessarie mediante misure incidenti sull'indennità".

La Cassazione ha concluso quindi escludendo che nella fattispecie dei Giudici di Pace possa trovare applicazione l'art. 2087 c.c., in quanto tale disposizione trova applicazione soltanto nell'ambito dei rapporti di lavoro subordinato.

LA MASSIMA

Nella fattispecie dei Giudici di Pace non trova applicazione l'art. 2087 c.c., in quanto tale disposizione è riconducibile soltanto nell'ambito dei rapporti di lavoro subordinato, mentre tale figura alla luce della L. 21 novembre 1991, n. 374, art. 1, comma 2, è qualificabile nel rapporto di servizio volontario con attribuzione di funzioni pubbliche, ma senza la presenza degli elementi che caratterizzano l'impiego pubblico. Cass. civ. n. 99 del 4 gennaio 2018.

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