La sottoscrizione della busta paga: quali oneri a carico delle parti in caso di contestazioni?

Costituisce prova solo dell'avvenuta consegna ma non anche dell'effettivo pagamento il cui onere andrebbe ad incombere sul datore di lavoro.



La sottoscrizione della busta paga ha da sempre animato la dottrina e la giurisprudenza sul valore probatorio e sulle eventuali conseguenze in termini di oneri probatori in capo al lavoratore e al datore di lavoro nel caso di insorgenza di contenziosi sull'effettivo pagamento della retribuzione indicata in busta paga.

Che valore ha la sottoscrizione della busta paga?

Non mancano in giurisprudenza diversi orientamenti sul punto.

Un primo orientamento sostiene che la sottoscrizione della busta paga con la dicitura "per ricevuta-quietanza" fa gravare sul lavoratore l'onere della prova della non corrispondenza tra le annotazioni contenute nella stessa e la retribuzione effettivamente corrisposta. 

A tale dichiarazione non può applicarsi il canone interpretativo di cui all'art. 1370 c.c., non potendo essere assimilata a una clausola inserita nelle condizioni generali di contratto o in moduli o formulari ex artt. 1341 e 1342 c.c. (Cass. civ., sez. lav., n. 27749 del 3 dicembre 2020).

Altre pronunce affermano invece che la sottoscrizione della busta paga per ricevuta apposta sulla busta paga non implica necessariamente l'effettivo pagamento della retribuzione.

Le buste paga, ancorché sottoscritte dal lavoratore con la formula "per ricevuta", costituiscono prova solo della loro avvenuta consegna ma non anche dell'effettivo pagamento, della cui dimostrazione è onerato il datore di lavoro, attesa l'assenza di una presunzione assoluta di corrispondenza tra quanto da esse risulta e la retribuzione effettivamente percepita dal lavoratore.

Il lavoratore può infatti provare l'insussistenza del carattere di quietanza delle sottoscrizioni eventualmente apposte, fermo restando che l'accettazione senza riserve della liquidazione da parte di quest'ultimo al momento della risoluzione del rapporto può assumere, in presenza di altre circostanze precise, concordanti ed obiettivamente concludenti dell'intenzione di accettare l'atto risolutivo (Cass. civ., sez. lav., n. 29367 del 14 novembre 2018).

Dunque nessuna presunzione assoluta di corrispondenza della retribuzione percepita dal lavoratore rispetto a quella risultante dalle buste paga, ma possono rappresentare se sottoscritte dal lavoratore con la formula "per ricevuta" solo una prova della loro avvenuta consegna e non anche dell'effettivo pagamento, che deve essere provato dal datore di lavoro.

Qual'è invece l'orientamento dei tribunali di merito sulla valore della sottoscrizione della busta paga?

In primis appare importante capire quale sia il "valore" e la "natura" della busta paga .

Su tali apsetti vi è concordanza, ifnatti partendo dai principi generali in materia di onere della prova, si afferma che il creditore che agisce per la risoluzione del contratto, per il risarcimento del danno ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza ma non l'inadempienza dell'obbligato, potendosi limitare alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, spettando, invece, al debitore convenuto l'onere di provare il fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento.

In ragione di tale principio di carattere generale, la busta paga - avendo natura di confessione stragiudiziale - ha piena efficacia di prova legale, vincolante quanto alle indicazioni ivi contenute. Graverebbe quindi sul datore di lavoro ex art. 2697 c.c. l'onere di provare la corresponsione di quanto dovuto al dipendente a titolo di retribuzione (Trib. Modena, sez. lav., n. 98 del 5 marzo 2020).

Dunque la busta paga ha valore di piena prova solo quando sia chiara e non contraddittoria.
Dalla attribuzione ai prospetti paga della natura di confessione stragiudiziale deriva, in applicazione degli artt. 2734 e 2735 c.c., che la piena efficacia di prova legale è circoscritta ai soli casi in cui la dichiarazione, quale riconoscimento puro e semplice della verità di fatti sfavorevoli alla parte dichiarante, assume carattere di univocità ed incontrovertibilità, vincolante per il giudice. Altrimenti, in mancanza di siffatte connotazioni, il giudice deve apprezzare liberamente la dichiarazione, nel quadro della valutazione degli altri fatti e circostanze tendenti ad mutare od attenuare l'efficacia dell'evento confessato.  La busta paga, dunque, ha valore di piena prova circa le indicazioni in essa contenute solo quando sia chiara e non contraddittoria; diversamente, ove risultasse l'indicazione di altri fatti tendenti ad estinguere gli effetti del credito del lavoratore riconosciuto nel documento essa è fonte di prova soggetta alla libera valutazione del giudice, che dovrà estendersi al complesso dei fatti esposti nel documento.

Sulla sottoscrizione della busta paga alcuni tribunali ritengono non abbia valore confessorio e non impedisca al lavoratore di azionare le proprie pretese retributive, ciò in quanto non vi è una presunzione assoluta di corrispondenza della retribuzione percepita dal lavoratore rispetto a quella risultante dai prospetti di paga ed è sempre possibile l'accertamento dell'insussistenza del carattere di quietanza anche delle sottoscrizioni eventualmente apposte dal lavoratore sulle buste paga, che non hanno valore confessorio e non possono impedire al lavoratore di azionare le proprie pretese retributive, non contenendo la suddetta sottoscrizione alcuna volontà abdicativa all'esercizio dei diritti (Trib. Reggio Calabria, sez. lav., n. 63 del 16 gennaio 2019).

La sottoscrizione della busta paga per quietanza del lavoratore percipiente non è in sé elemento necessario per la regolarità del documento, ma ne discende che, ove sorga contestazione, l’onere di provare il mancato pagamento (o la non corrispondenza tra erogazioni e buste paga) può incombere sul lavoratore solo in caso di provata regolarità della documentazione liberatoria e del rilascio di quietanze da parte del dipendente. In caso diverso spetta al datore di lavoro la prova rigorosa dei pagamenti eseguiti (Trib. Velletri, sez. lav., n. 1445 del 6 novembre 2018).

Considerazioni conclusive

In sistensi, dunque, la busta paga, ha certamente valore di piena prova circa le indicazioni in essa contenute, sempre che sia chiara e non contraddittoria, poichè ove invece risulti la indicazione di altri fatti tendenti ad estinguere gli effetti dei credito del lavoratore riconosciuto nel documento, essa è una fonte di prova soggetta alla libera valutazione del giudice, che dovrà estendersi al complesso dei fatti esposti nel documento.

Quanto alla sottoscrizione della busta paga costituisce prova solo dell'avvenuta consegna ma non anche dell'effettivo pagamento il cui onere andrebbe ad incombere sul datore di lavoro. Non mancano però posizioni diverse che affermano che l’onere di provare il mancato pagamento (o la non corrispondenza tra erogazioni e buste paga) può anche incombere sul lavoratore ma solo in caso di provata regolarità della documentazione liberatoria e del rilascio di quietanze da parte del dipendente.

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