Un condominio può presentare un Piano del Consumatore previsto dalla Legge 3/2012?

Anche il condominio può qualificarsi come "consumatore" se l'altra parte contrattuale è un "professionista" nel senso inteso dalla normativa.



A cura dell'Avv. Augusto Careni

Può un condominio presentare un Piano del Consumatore previsto dalla Legge 3/2012?

Per rispondere a questa domanda occorre in primis qualificare lo status giuridico del condominio, ovvero se possa considerarsi quale “consumatore”.

È bene chiarire subito che sul punto non vi è ancora unità di vedute, infatti vi sono giurisprudenze di legittimità e di merito contrastanti, anche se negli ultimi tempi si ravvisa una maggiore propensione a qualificare anche il condominio quale “consumatore” con tutte le conseguenze in termini di applicazione delle norme del codice del consumo e quindi anche l’accesso alle procedure di sovraindebitamento previsto dalla L. 3/2012.

Partendo dalla storica sentenza della Corte di Cassazione (Cass. civ. n. 1869 del 1° febbraio 2016), i giudici di legittimità hanno identificato la qualifica di “consumatore” affermando che “Ai sensi della l. n. 3 del 27 gennaio 2012, è consumatore solo quel debitore che, persona-fisica, risulti aver contratto obbligazioni per far fronte ad esigenze personali o familiari o della più ampia sfera attinente agli impegni derivanti dalla estrinsecazione della propria personalità sociale e, dunque, anche a favore di terzi, ma senza riflessi diretti in una attività di impresa o professionale propria, salvo gli eventuali debiti di cui all'art. 7, comma 1, terzo periodo (tributi costituenti risorse proprie dell'Unione europea, imposta sul valore aggiunto e ritenute operate e non versate), da pagare in quanto tali, sulla base della verifica di effettività solutoria commessa al giudice nella sede di cui all'art. 12 bis, comma 3”.

Tale pronuncia ha certamente incluso nella nozione di consumatore anche l’imprenditore e il professionista, ma ha allargato la definizione anche ad un ente collettivo quale il condominio?

Certamente non in modo esplicito, ma non è stata neanche esclusa esplicitamente, e allora occorre fare riferimento ad un’altra importante sentenza della Suprema Corte (Cass. Civ. n. 10679 del 22 maggio 2015) nella quale si considera il condominio quale “consumatore” in quanto sommatoria di altri consumatori, ovvero i proprietari degli appartamenti.

Va in ogni caso specifico che affinché il condominio possa qualificarsi “consumatore” è necessario che l’altra parte contrattuale non sia un privato, ossia un altro consumatore, ma un “professionista” nel senso inteso dalla normativa, ovvero un imprenditore, una società o altro soggetto esercente arte o professione.

La corte di piazza Cavour, nella richiamata sentenza, afferma infatti che “Al contratto concluso con un professionista da un amministratore di condominio, ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti, si applica la disciplina di tutela del consumatore, agendo l'amministratore stesso come mandatario con rappresentanza dei singoli condomini, i quali devono essere considerati consumatori, in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionale”.

Tale conclusione è stata ulteriormente supportata e rafforzata da una recentissima pronuncia della Corte di Giustizia UE, per la quale “L'art. 1, par. 1, e l'art. 2, lett. b), della direttiva 93/13/Cee del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che non ostano a una giurisprudenza nazionale che interpreti la normativa di recepimento della medesima direttiva nel diritto interno in modo che le norme a tutela dei consumatori che essa contiene siano applicabili anche a un contratto concluso con un professionista da un soggetto giuridico quale il condominio nell'ordinamento italiano anche se un simile soggetto giuridico non rientra nell'ambito di applicazione della suddetta direttiva” (Corte di Giustizia UE, C-329/19 del 2 aprile 2020).

Dunque, anche per la Corte di Giustizia il condominio può essere qualificato quale “consumatore” purché si abbia riguardo a obbligazioni concluse non con altri soggetti “privati” ma con “professionisti” o “imprese”.

Dovrebbero allora ritenersi ormai superate alcune pronunce, soprattutto di merito, che vorrebbero non estensibile al condominio la normativa in tema di sovraindebitamento. Su tutte le pronunce in tal senso, si può citare quella del Tribunale di Bergamo per il quale “Il condominio non è legittimato a proporre un piano del consumatore al fine di superare la crisi da sovraindebitamento in cui versi, in quanto, ai sensi dell'art. 6, comma 2, lett. b), dellal. n. 3/2012 solo una persona fisica può essere qualificata “consumatore” (Tribunale di Bergamo 16 gennaio 2019).

Secondo tale interpretazione il condominio, essendo un ente collettivo, non può considerarsi “consumatore” alla luce della definizione fatta propria dalla legge sul sovraindebitamento che intende per consumatore “il debitore persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”.

A parere di chi scrive tale soluzione deve ritenersi ormai superata soprattutto alla luce dell'interpretazione offerta dalla Corte di Giustizia UE sopra riportata e che fornisce una più ampia tutela anche al condominio qualificandolo come “consumatore”.

Pertanto, se da un lato è vero che da un punto di vista strettamente formale il legislatore ha inteso differenziare le due nozioni di consumatore, prevedendo nella Legge 3/2012 una nozione più specifica, rispetto a quella contemplata nell'art. 3 del Codice del consumo, in quanto richiede che i debiti della “persona fisica” derivino esclusivamente da atti compiuti “per scopi estranei all'attività imprenditoriale e professionale eventualmente svolta”, per altro verso l'interpretazione sulla nozione di consumatore, ai fini delle procedure di sovraindebitamento e del Codice del consumo, dovrebbe essere unitaria in quanto in realtà le due normative rispondono alla stessa finalità, ovvero garantire il funzionamento del mercato.

Alla iniziale domanda se un condominio possa presentare un Piano del Consumatore (ma anche una proposta di accordo con i creditori o un piano di liquidazione del proprio patrimonio) la risposta dovrà essere positiva, tenendo però a mente quanto si è detto in riferimento all’altra parte contrattuale che deve necessariamente essere un “professionista” nel senso inteso dalla normativa.

La decisione sulla formulazione del piano del consumatore o sulle ipotesi di accordo con i creditori dovrà quindi essere presa dall’assemblea, con maggioranza qualificata della maggioranza dei partecipanti che rappresentino almeno la metà del valore dell’edificio espresso in quote millesimali, mentre se l’accordo o il piano dovessero comprendere anche disposizioni su beni immobili allora servirebbe l’approvazione all’unanimità.

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