Contratto di locazione: mancanza di buona fede del locatore e possibili conseguenze.

Legittima la sospensione in autotutela del pagamento dei canoni di locazione in presenza di un inadempimento del locatore.



Se il locatore non rispetta il principio di correttezza e buona fede contrattuale a cosa va incontro?

Può eventualmente il conduttore avere diritto ad una riduzione proporzionale del canone di locazione?

Lo spunto per rispondere a tali quesiti li offre una interessante pronuncia della Suprema Corte alla quale si è rivolta il conduttore di un locale ad uso commerciale che, vista lìmpossiblità di utilizzare l'intero locale per la propria attività a causa di mancanze di tipo amminsitrativo dello stesso, ha di propria inziativa deciso di sospendere il pagamento dei canoni di locazione.

LA VIDENDA

La videnda riguarda un contrato di locazione di un immobile utlizzato dal conduttore per attività di bar caffetteria, verso il pagamento di un canone mensile di Euro 3.000.

Il contenzioso prende avvio tra le parti a seguito dello sfratto per morosità intimato dal locatore in quanto il conduttore non avrebbe versato l'intero canone pattuito nel corso di dieci mensilità, ma solo la circa la metà (in sostanza avrebbe pagato circa 15.000 euro in luogo dei 30.000 euro previsti dal contratto).

Il conduttore riteneva però di avere legittimamente sospeso il pagamento dei canoni di locazione, ai sensi dell'art. 1460 c.c., essendo risultato l'immobile locato inidoneo allo svolgimento dell'attività commerciale poichè sprovvisto del cambio di destinazione d'uso e della agibilità.

A sosstegno della propria tesi, infatti, evidenziò che il Comune nel quale era sito l'immobile aveva notificato due verbali di accertata violazione amministrativa con i quali aveva contestato l'esercizio dell'attività di ristorazione nella parte retrostante del locale, per la mancata certificazione di destinazione d'uso e dell'agibilità dell'immobile, e, pertanto, a causa delle irregolarità urbanistico-amministrative non aveva potuto utilizzare tutte le parti dello stesso con gravissimi danni per la sua attività di impresa.

Il giudice di prime cure accolse la domanda del conduttore di risoluzione del contratto per inadempimento del locatore, ma la corte d'appello ribaltò la decisione dichiarando risolto per inadempimento del conduttore il contratto di locazione e lo condannò anche al pagamento in favore del locatore  della complessiva somma di Euro 86.000 euro a titolo di canoni di locazione insoluti. 

Alla base di tale decisione vi era per la corte la scrittura privata sottoscritta tra le parti con la quale il conduttore si impegnava, ricevendo le chiavi del locale seminterrato, a versare l'intero canone contrattuale "senza attendere ulteriormente l'ottenimento del cambio d'uso dei locali", ritenendo fondamentale e propedeutica la realizzazione dell'impianto elettrico; da tale pattuizione sarebbe quindi emerso che il conduttore al momento della sottoscrizione della scrittura pivata integrativa era pienamente a conoscenza che non era stato ottenuto il cambio di destinazione d'uso dell'immobile ed aveva accettato di pagare l'intero canone di locazione pattuito. 

Quanto, invece, alla mancanza di mutamento di destinazione d'uso e di agibilità della parte retrostante il locale a piano terra adibito a ristorante, per la corte di merito anche a voler ritenere che la carenza di detto requisito amministrativo potesse costituire un vizio del bene in quanto necessario per la sua legale destinazione all'uso convenuto, non poteva "revocarsi in dubbio che, trattandosi di vizio sopravvenuto il conduttore avrebbe potuto, ai sensi degli artt. 1578 e 1580 c.c., chiedere la risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo" e che, "non avendo fatto ciò ed essendo pacifico che la medesima fosse sempre rimasta nella disponibilità dell'immobile,... era tenuta al pagamento dei canoni nella misura contrattualmente convenuta".

LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE

Il conduttore ricorre in cassazione sostenendo che

La Suprema Corte in primis evidenzia come vi sia stata l'applicazione di un erroneo criterio di riparto dell'onere probatorio in merito a quanto asserito dal conduttore di non aver potuto esercitare la propria attività commerciale nell'intero locale.

Infatti, in coerenza con il generale criterio di riparto dell'onere probatorio in tema di responsabilità da inadempimento delle obbligazioni contrattuali (cfr. Cass. civ., SS.UU., n. 13533 del 30 ottobre 2001) a fronte dell'eccezione di inadempimento opposta dal conduttore, spetta al locatore dimostrare di avere correttamente e pienamente adempiuto all'obbligo di rendere l'immobile locato pienamente idoneo all'uso pattuito.

L'exceptio non rite adimpleti contractus integra, invero, un fatto impeditivo dell'altrui pretesa di pagamento avanzata, nell'ambito dei contratti a prestazioni corrispettive, in costanza di inadempimento dello stesso creditore, con la conseguenza che il debitore potrà limitarsi ad allegare l'altrui inadempimento, gravando sul creditore l'onere di provare il proprio adempimento ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell'obbligazione (cfr. Cass. civ. n. 23759 del 22 novembre 2016).

Può l'inidoneità del mancato ottenimento del certificato di mutamento di destinazione d'uso e di agibilità del locale costituire valida giustificazione della sospensione prima parziale e poi totale del pagamento del canone? 

Con riferimento alle condizioni che legittimano il conduttore a sospendere, in tutto o in parte, il pagamento del canone, l'orientamento prevalente nella giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. civ. n. 20322/2019; n. 16917/2019; n. 22039/2017), ritiene che deve ormai ritenersi abbandonato la tesi più rigorosa che, con riferimento al rapporto locativo, ritiene legittima la sospensione, anche parziale, della prestazione gravante sul conduttore solo quando venga completamente a mancare la prestazione della controparte (cfr. Cass. civ. n. 13133/2006; n. 13133/2004, n. 7772/1999). Tale orientamento non trova fondamento nell'art. 1460 c.c., costantemente interpretato quale mezzo di autotutela, che attiene alla fase esecutiva del contratto e non mira, come la risoluzione, allo scioglimento del vincolo, ma anzi ne presuppone la permanenza.

Si è in tal senso rammentato - sulla scorta e in continuità con consolidata giurisprudenza (da ultimo v. Cass. 29/03/2019, n. 8760) - il rilievo che, nell'istituto della sospensione dell'adempimento regolato dall'art. 1460 c.c., assume il principio di correttezza e buona fede oggettiva ex artt. 1175 e 1375 c.c., al quale del resto fa esplicito rimando l'art. 1460, comma 2, c.c.  là dove correla alla considerazione delle circostanze del caso concreto la valutazione della legittimità della sospensione secondo "buona fede", correlazione che non altrimenti può concretizzarsi se non nella "commisurazione del rilievo sinallagmatico delle obbligazioni coinvolte", ossia nella "proporzionalità" dei rispettivi inadempimenti.

Per i giudici di piazza Cavour, pertanto, per stabilire in concreto se l'eccezione di inadempimento sia stata sollevata in buona fede oppure no, il giudice di merito deve verificare "se la condotta della parte inadempiente, avuto riguardo all'incidenza sulla funzione economico-sociale del contratto, abbia influito sull'equilibrio sinallagmatico dello stesso, in rapporto all'interesse perseguito dalla parte, e perciò abbia legittimato, causalmente e proporzionalmente, la sospensione dell'adempimento dell'altra parte".

Tali criteri di buona fede e proporzionalità sinallagmatica che concretano il funzionamento dell'istituto verrebbero traditi ove, pur in presenza di accertati inadempimenti del locatore, ancorchè non tali da escludere ogni possibilità di godimento dell'immobile, non si ammettesse una "proporzionale" sospensione della prestazione di controparte, ma se ne richiedesse al contrario l'integrale adempimento.

In tal senso le valutazioni della Corte di merito non risultano coerenti con detti criteri e palesano una erronea e comunque insoddisfacente qualificazione giuridica della fattispecie concreta. In particolare con riferimento al rilievo secondo cui l'abuso amministrativo avrebbe solo potuto giustificare la domanda di risoluzione del contratto o di riduzione del corrispettivo ai sensi degli artt. 1578 e 1580 c.c., non anche, una volta che quei rimedi non erano stati esperiti, alla sospensione del pagamento dei canoni.

Appare evidente infatti che, se in astratto si riconosce l'esperibilità di quella più radicale scelta negoziale della risoluzione del contratto, per la ricorrenza dei presupposti ivi previsti, a maggior ragione, come il più comprende il meno, deve anche riconoscersi la legittimità della sospensione, della propria controprestazione, trattandosi di rimedio meno radicale, consentito dalla legge in via di autotutela nella fase esecutiva del contratto, alla parte non inadempiente, in presenza dei medesimi presupposti (e anzi addirittura meno gravi, posto che l'art. 1460 c.c., comma 1, non richiede la gravità dell'inadempimento).

Per la Corte di Cassazione, dunque, è legittima la sospensione dell'adempimento del conduttore, in ottemperanza del principio di autotutela sancito dall'art. 1460 c.c., qualora vi sia un inadempimento del locatore come nel caso di specie.

In applicazione del principio di correttezza e buona fede, la condotta della parte inadempiente deve incidere sulla funzione economico-sociale del contratto, influire sull'equilibrio sinallagmatico dello stesso, in rapporto all'interesse perseguito dalla parte, e, perciò, deve legittimare causalmente e proporzionalmente la sospensione dell'adempimento dell'altra parte, in ottemperanza del principio di autotutela sancito dall'art. 1460 c.c.

Cass. civ., sez. III, n. 2154 del 29 gennaio 2021 

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