Lavoratori esposti al rischio rapine e l'adozione di misure di sicurezza "innominate"...
In caso di lavoratori esposti al rischio rapine l'obbligo di sicurezza di cui all'art. 2087 c.c. impone al datore di lavoro l'adozione di misure di sicurezza c.d. "innominate"? Cass. 28 ottobre 2016 n. 21901.
L'obbligo di sicurezza del datore di lavoro, come sancito dall'art. 2097 c.c., si estende anche alle c.d. misure di sicurezza innominate?
La Cassazione ha affermato il principio secondo il quale l'art. 2087 c.c. rende necessario l'apprestamento di adeguati mezzi di tutela dell'integrità psicofisica dei lavoratori nei confronti dell'attività criminosa di terzi nei casi in cui la prevedibilità del verificarsi di episodi di aggressione a scopo di lucro sia insita nella tipologia di attività esercitata.
Ad esempio ciò può accadere in caso di plurime reiterazioni di rapine in un determinato arco temporale, oppure nei casi in cui sia notoria la nocività dell'ambiente di lavoro.
IL CASO.
La Corte di Appello di Roma condannava la Asl alle conseguenze di cui all'art. 18 Stat. lav. oltre il risarcimento del danno non patrimoniale patito dal lavoratore, riformando la pronuncia di primo grado e dichiarando l'illegittimità del licenziamento per superamento del periodo di comporto in quanto:
- una parte delle assenze potevano essere imputabili a colpa del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. e non rilevanti ai fini del periodo di comporto;
- era stato documentato in atti che il ricorrente aveva subito un'aggressione all'interno dell'ospedale;
- era stata provata l'insufficiente sicurezza dell'ospedale, la particolare pericolosità del reparto di radiologia e la verificazione di furti e minacce.
La Corte di Appello infatti aveva ritenuto provata la nocività dell'ambiente di lavoro e la mancata adozione da parte del datore di lavoro delle più elementari misure di sicurezza.
La Asl ricorreva per Cassazione.
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso chiarendo che l'obbligo di sicurezza si estende anche a tutte le misure c.d. innominate.
Nel caso di lavoratori esposti al rischio di rapina, l'osservanza del generico obbligo di sicurezza di cui all'art. 2087 c.c., impone al datore di lavoro - afferma la Cassazione - l'adozione delle correlative misure di sicurezza cd. "innominate", sicchè incombe sullo stesso, ai fini della prova liberatoria correlata alla quantificazione della diligenza ritenuta esigibile nella predisposizione delle suindicate misure, l'onere di far risultare l'adozione di comportamenti specifici che, pur non dettati dalla legge o altra fonte equiparata, siano suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, dagli "standards" di sicurezza normalmente osservati o trovino riferimento in altre fonti analoghe (Cass. n. 34 del 2016, v. pure 15082 del 2014, n. 8855 del 2013).
L'art. 2087 c.c. rende necessario l'apprestamento di adeguati mezzi di tutela dell'integrità psicofisica dei lavoratori nei confronti dell'attività criminosa di terzi nei casi in cui la prevedibilità del verificarsi di episodi di aggressione a scopo di lucro sia insita nella tipologia di attività esercitata, in ragione della movimentazione, anche contenuta, di somme di denaro, nonchè delle plurime reiterazioni di rapine in un determinato arco temporale (v. Cass. n. 3424 del 2016, nonchè Cass. n. 23793 del 2015 e n. 7405 del 2015).
La Corte di appello ha evidenziato che erano stati comprovati in giudizio la notorietà dell'insufficiente sicurezza dell'Ospedale, la particolare pericolosità del reparto di radiologia (ubicato nel seminterrato) e soprattutto il fatto che già in precedenza si erano verificati furti e rapine.
Ha dunque formulato il proprio giudizio muovendo dalla considerazione che al datore di lavoro fosse nota la pericolosità dei locali e la facilità di accesso da parte di terzi estranei e ciò nonostante nessuna misura idonea a scongiurare il ripetersi di fatti criminosi fosse stata adottata dalla ASL per assicurare l'incolumità del personale in servizio, soprattutto in orario notturno.
Per quanto concerne l'errore nel compunto delle assenze la Corte evidenzia che:
In merito al presunto errore di computo delle assenze, del pari il ricorso è avulso da qualsiasi riferimento alla soluzione adottata dalla Corte di appello.
Questa ha premesso che l'art. 24, comma 1, del CCNL garantisce la conservazione del posto "per un periodo di 18 mesi" e che "ai fini della maturazione del predetto periodo si sommano le assenze per malattia intervenute nei tre anni precedenti l'ultimo episodio morboso in corso"; a tale periodo si era poi aggiunto l'ulteriore periodo di aspettativa di 18 mesi, di cui pure il ricorrente aveva fruito.
Ha poi evidenziato che l'ultimo episodio morboso era iniziato il 29.5.2004 e che, pertanto il triennio di riferimento del calcolo era quello anteriore a tale data, per cui una volta escluse le assenze anteriori al 4.3.02, il periodo di conservazione del posto di lavoro non era stato superato.
LA MASSIMA
Nel caso di lavoratori esposti al rischio rapine, l'osservanza del generico obbligo di sicurezza di cui all'art. 2087 c.c. impone al datore di lavoro l'adozione delle correlative misure di sicurezza c.d. «innominate», sicché incombe su quest'ultimo l'onere di far risultare l'adozione di comportamenti specifici che, pur non dettati dalla legge o da altra fonte equiparata, siano suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, dagli standard di sicurezza normalmente osservati o trovino riferimento in altre fonti analoghe. Cass. 28 ottobre 2016 n. 21901; conf. Cass. nn. 3424/2016; 23793/2015; 7405/2015.
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