CASA FAMILIARE E REVOCA DEL COMODATO.
Revoca del comodato della casa familiare assegnata a nuora e nipoti: orientamenti giurisprudenziali.
DIRITTO CIVILE. Revoca del comodato della casa familiare assegnata a nuora e nipoti: orientamenti giurisprudenziali.
A cura della Dott.ssa Iolanda Raffaele
Di particolare rilevanza sul piano del diritto e della prassi è la questione relativa alla corretta qualificazione giuridica da attribuire alla fattispecie di “revoca del comodato della casa familiare assegnata a nuora e nipoti”.
Al fine di comprendere la sorte di tale comodato, che generalmente si realizza in costanza dell’intervenuta separazione dei coniugi e del successivo provvedimento giudiziale di affidamento dei figli, giova, pertanto, riportare gli orientamenti giurisprudenziali succedutisi in materia.
In ordine temporale, si ricorda la sentenza del 7/21 luglio 2004 n. 1360 con cui la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, portando avanti l’Orientamento Familiarista, ha affermato che “il contratto di comodato stipulato in favore di un nucleo familiare, ove le parti avevano inteso destinare l’immobile alle esigenze abitative della famiglia e conseguentemente conferire a tale uso il carattere implicito della durata del rapporto, legittima la richiesta di restituzione solo per un grave ed impreveduto bisogno del comodante”.
Successivamente la Corte di Cassazione, sez. III, con la sentenza n. 15986 del 7 luglio 2010, seguendo l’Orientamento Contrattualista, si è espressa in senso opposto, asserendo che il contratto con cui viene concesso un immobile a una coppia di sposi, affinché gli stessi lo adibiscano a casa familiare, è un comodato senza determinazione di durata (“comodato precario”) e, quindi, il comodante può chiedere in ogni momento la restituzione della cosa, non assumendo, per tale indirizzo, alcun rilievo il fatto che l’immobile sia stato adibito a uso familiare e sia stato assegnato in sede di separazione.
In seguito la Suprema Corte di Cassazione con ordinanza interlocutoria del 17 giugno 2013, n. 15113 è tornata a pronunciarsi sulla relazione tra il contratto di comodato e il provvedimento del giudice della separazione relativo all’assegnazione della casa familiare ponendo, attraverso una preventiva e puntuale ricostruzione degli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali degli ultimi anni, un argine ai precedenti giurisprudenziali della medesima Corte con la rimessione della questione alle Sezioni Unite.
In particolare ha statuito che :
“il comodato (o prestito d’uso) è il contratto essenzialmente a titolo gratuito con cui una parte (c.d. comodante) consegna all’altra parte (c.d. comodatario) una cosa, mobile o immobile, affinché se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con l’obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta (art. 1803 c.c.) ”.
L’estensore dell’ordinanza ha criticato la soluzione delineata dalle Sezioni Unite con la pronuncia del 2004 dal momento che da un lato sostiene che il provvedimento di assegnazione della casa familiare non sostituisce l’originario contratto di comodato e che bisogna evitare una “sostanziale espropriazione delle facoltà e dei diritti connessi alla sua titolarità sull’immobile, con evidenti riflessi sulla sfera costituzionale della tutela del risparmio e della sua funzione previdenziale”, dall’altra in maniera contrastante riconosce al provvedimento giudiziale proprio quel potere che in via di principio si intendeva negargli” soprattutto nell’ipotesi di contratto di comodato a tempo indeterminato”.
Altresì, secondo il giudice dell’ordinanza negare totalmente la possibilità per il comodante di riavere l’immobile non sarebbe ossequioso del dettato del codice civile, il quale prevede che il comodante può recedere nell’ipotesi di urgente ed impreveduto bisogno (art. 1809 c.c.), per cui le aspettative della famiglia non possono annullare del tutto il diritto del proprietario/comodante.
È possibile eventualmente bilanciare gli opposti interessi, concedendo un termine al coniuge/comodatario per poter trovare un altro immobile dove sistemarsi e, in mancanza di accordo, il termine deve essere stabilito dal giudice in base alla valutazione delle circostanze del caso concreto.
Infine le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la recente sentenza del 29 settembre 2014, n. 20448 hanno risolto i dubbi interpretativi originati dagli orientamenti giurisprudenziali contrastanti sostenendo che nel codice civile esistono due diverse forme di contratto di comodato: quello “in senso stretto”, caratterizzato da un termine di durata regolato dagli articoli 1803 e 1809 c.c. e un altro definito “precario” senza termine di durata di cui all’art. 1810 c.c..
Nel primo caso il comodato si costituisce con la consegna della cosa per un tempo determinato o per un uso che consenta di stabilire la scadenza contrattuale ed è caratterizzato dalla facoltà del comodante di richiedere la restituzione immediata dell’immobile solo in caso di sopravvenienza di un urgente e sopravvenuto bisogno.
Nel secondo caso non vi è invece la previa pattuizione di un termine, né è possibile desumere la destinazione che comodante e comodatario vogliono imprimere alla cosa, quindi, è possibile per il comodante chiedere il rilascio ad nutum della cosa in ogni momento, senza particolari incombenze ex art. 1810 c.c.
Alla prima forma contrattuale viene ricondotto il comodato di immobile destinato alla soddisfazione alle esigenze abitative della famiglia del comodatario, contratto sorto per uno scopo determinato e un tempo determinabile per relationem in considerazione della destinazione della casa familiare ed indipendentemente dall’insorgere di una crisi coniugale.
Tale sentenza ritiene, inoltre, che “l’unica risposta è il rispetto del potere di disposizione del bene quale esercitato al sorgere del contratto: se il contratto ancorava la durata del comodato alla famiglia del comodatario corrisponde al diritto che esso perduri fino al venir meno dell’esigenza della famiglia”.
Alla luce dell’Orientamento “Familiarista”, il comodante, in sede processuale, potrà chiedere la restituzione dell’immobile solo “in caso di sopravvenienza di un urgente e imprevisto bisogno”, d’altra parte la separazione dei coniugi non è di per sé fatto determinante e legittimante la revoca del comodato d’uso sulla casa coniugale poiché, quando il comodato è destinato a soddisfare le esigenze della famiglia, tale scopo permane anche dopo la separazione. In definitiva si considera comodato in senso stretto quello volto a permettere il regolare svolgimento della vita familiare che non viene meno per la separazione dei coniugi, se nella casa familiare restano moglie e figli a carico, e il comodante non dovrà subire alcun pregiudizio per favorire il comodatario.
Tuttavia, è onere del giudice indagare riguardo gli accordi presi dalle parti al momento dell’insorgere del contratto di comodato per poi procedere alla qualificazione nella prima o nella seconda categoria, mentre è onere delle parti provare in corso di causa l’esistenza delle circostanze di fatto idonee a ricondurre la fattispecie all’uno o all’altro caso, per decidere quale tipo di disciplina codicistica applicare.
Altresì, affinchè l’assegnatario possa opporre al comodante, che chieda il rilascio dell’immobile, l’esistenza di un provvedimento di assegnazione della casa familiare, è necessario che tra le parti (cioè almeno con uno dei coniugi, salva la concentrazione del rapporto in capo all’assegnatario, ancorchè diverso), sia stato in precedenza costituito un contratto di comodato che abbia contemplato la destinazione del bene quale casa familiare senza altri limiti o pattuizioni. In relazione a questa destinazione, se non sia stata fissata espressamente una data di scadenza, il termine è desumibile dall’uso per la quale la cosa è stata consegnata e quindi dalla destinazione della casa familiare, applicandosi in questo caso le regole che disciplinano questo istituto e quindi il comodante potrà chiedere la restituzione dell’immobile solo “in caso di sopravvenienza di un urgente e imprevisto bisogno”, da provare in sede processuale.
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