Il diritto all'oblio: il delicato bilanciamento tra interesse pubblico e diritto alla riservatezza.

Legittima la compressione del diritto all'oblio per il perseguimento di finalità di carattere storico.



Nota a Cass. Civ. n. 7559 del 27 marzo 2020 a cura dell'Avv. Andrea D'Amico

Con l’ordinanza n. 7559/2020 in commento la S.C. di Cassazione, sez. I civile, torna a pronunciarsi sul diritto all’oblio, operando un non agevole bilanciamento tra l’interesse storico-archivistico pubblico e privato ed il diritto individuale alla riservatezza.

Invero, il provvedimento in esame sembra conformarsi ai più recenti arresti della Suprema Corte, fermo che, più in generale, la tematica del diritto all’oblio pare ancora alla ricerca di un definitivo assestamento, nonostante il considerevole livello di maturità raggiunto dalle riflessioni giurisprudenziali.

Prima di procedere con la narrazione della vicenda processuale e con l’elencazione delle statuizioni più significative rese dal Supremo Collegio nell’ordinanza in commento, si reputa opportuno ripercorrere brevemente i principali approdi raggiunti dalla giurisprudenza nella materia in esame.

PRINCIPALI ARRESTI GIURISPRUDENZIALI

L’istituto – di conio giurisprudenziale – del “diritto all’oblio” trova un esplicito riconoscimento a partire dalla fine del XX secolo, ancorché se ne rinvengano tracce in pronunce più risalenti, tra cui è possibile citare, in particolare: (i) Cass. Civ. n. 1563/1958, ove la S.C. fece uso dell’espressione – di indubbia suggestione – “diritto al segreto del disonore” in un procedimento in materia di onore e reputazione; nonché (ii) Cass. Civ. n. 7769/1985, con la quale il Giudice di legittimità ha precorso taluni dei più recenti arresti giurisprudenziali affermando che il soggetto a cui una data informazione si riferisce ha diritto a che non sia “travisato o alterato all'esterno il proprio patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso, ideologico, professionale”.

Il diritto all’oblio – inteso, almeno inizialmente, come mera espressione del diritto alla riservatezza, da cui si differenzia solo per il fatto di riguardare notizie originariamente diffuse in modo legittimo – si pone come dicotomico rispetto all’esercizio del diritto di cronaca, cosicché le pronunce giudiziali che se ne occupano sono storicamente concentrate sul tema del bilanciamento tra i due diritti, entrambi aventi copertura Costituzionale rispettivamente sub artt. 2 e 21.

Degna di nota, in proposito, è Cass. n. 3679/1998, ove ai tradizionali requisiti di “verità”, “pertinenza” e “continenza” prescritti per il valido esercizio del diritto di cronaca, la S.C. ha aggiunto un ulteriore requisito, rappresentato dalla “esigenza dell'attualità della notizia, quale manifestazione del diritto alla riservatezza, intesa quale giusto interesse di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia in passato legittimamente divulgata, salvo che per eventi sopravvenuti il fatto precedente ritorni di attualità e rinasca un nuovo interesse pubblico all'informazione”.

Giova ricordare, incidentalmente, come al 1996 risalga la prima normativa italiana in materia di tutela delle persone fisiche e di altri soggetti con riferimento al trattamento dei dati personali (la l. 675), cosicché non può ragionevolmente essere negato l’impulso che tale legge ha impresso ai fini dell’emersione del tema dell’oblio. Peraltro, la progressiva digitalizzazione della società ha con ogni evidenza fornito un ulteriore e significativo contributo alla materia, data la possibilità per una notizia diffusa su internet di perdurare e propagarsi nella memoria “infinita e senza tempo” del web, secondo un’efficace espressione impiegata da Cass. Civ. nella pronuncia n. 5525/2012.

Negli anni, al diritto a che informazioni relative ad una data persona non vengano rievocate, ripubblicate o ridiffuse si è andato affiancando una seconda tipologia di diritto: quello alla tutela dell’identità personale o morale. In tal senso appare significativo l’apporto al dibattito giuridico dato dalla già richiamata Cass. Civ. n. 5525/2012, la quale, dopo attenta analisi delle differenze tra memoria ed archivio ed accorta ricostruzione delle dinamiche di internet e dei doveri e responsabilità degli internet service provider, ha operato un bilanciamento invero mirabile tra diritti di cronaca e di oblio, nonché tra interessi pubblici e privati alla pubblicazione della notizia ed interesse individuale alla riservatezza, ritenendo opportuna la contestualizzazione della notizia mediante l’indicazione delle più ampie (ed anche successive) vicende relative all’interessato.

Il diritto all’oblio è stato, dunque, arricchito di una nuova sfumatura (salvo non si voglia intravedere nella tutela dell’identità personale e morale un diritto autonomo), nella consapevolezza che internet, la rete delle reti, rende quantomeno ardua (se non virtualmente impossibile) l’effettiva cancellazione di una notizia del passato. Al pari dell’oblio, anche la tutela dell’identità personale costituisce un presidio dinanzi alla riemersione dal passato di notizie originariamente diffuse in modo lecito; differiscono, tuttavia: (a) i presupposti per l’esercizio dell’una o dell’altra prerogativa (carenza di interesse pubblico, per l’oblio, persistenza dell’interesse pubblico, per quanto concerne la tutela dell’identità personale e morale); nonché (b) i risultati derivanti dall’esercizio dell’una o dell’altra prerogativa (la cancellazione di informazioni o dei riferimenti identificativi ivi contenuti, nonché l’“isolamento” delle stesse attraverso de-indicizzazione o similari, per l’oblio; la contestualizzazione, l’integrazione e l’aggiornamento delle informazioni, per ciò che concerne il diritto alla tutela dell’identità personale e morale).

Oltre al bilanciamento tra i diritti di cronaca e oblio, la giurisprudenza ha avuto modo di interrogarsi anche sull’“ampiezza” dell’esercizio del diritto all’oblio e sui rapporti tra quest’ultimo e la libera iniziativa economica, pronunciandosi, segnatamente, sulla possibilità di chiedere la rimozione del contenuto lesivo della riservatezza non già al soggetto che lo divulga, bensì a colui che ne facilita la diffusione, quale, in particolare, il gestore di un motore di ricerca generalista. Celebre, in proposito, è l’arresto della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in C-131/12, a parere della quale il diritto all’oblio prevale, in linea di principio, sia sull’interesse economico del gestore del motore di ricerca, sia su quello del pubblico ad accedere ad una data informazione concernente quella persona, salvo non ricorrano ragioni specifiche quali, in particolare, il ruolo ricoperto da tale persona nella vita pubblica. Tali principi sono stati di recente confermati dalla Corte di Giustizia nelle pronunce C-547/17, ove la C.G.U.E. ha ritenuto che il diritto di deindicizzazione dai motori di ricerca generalisti sia esteso alla versione di quel dato search engine vigente in ciascuno Stato membro dell’U.E. (sebbene non altrettanto pare si possa dire per le versioni del motore di ricerca impiegate in Paesi extra U.E.), e C-136/17, ove la C.G.U.E. ha statuito: (i) che il gestore di un motore di ricerca, una volta ricevuta una richiesta di deindicizzazione riguardante un link verso una pagina web nella quale sono pubblicati dati personali di particolari categorie, deve – sulla base di tutti gli elementi pertinenti della fattispecie e tenuto conto della gravità dell’ingerenza nei diritti fondamentali della persona interessata – verificare se l’inserimento di detto link nell’elenco dei risultati di ricerca si riveli strettamente necessario per proteggere la libertà di informazione degli utenti di Internet potenzialmente interessati ad avere accesso a tale pagina web; nonché (ii) che il suddetto gestore è tenuto ad accogliere una richiesta di deindicizzazione vertente su link verso pagine web nelle quali compaiono informazioni di cronaca giudiziaria quando queste ultime si riferiscono ad una fase precedente del procedimento giudiziario considerato e non corrispondono più, tenuto conto dello svolgimento di quest’ultimo, alla situazione attuale, e della prevalenza dei diritti fondamentali della persona interessata (garantiti dagli articoli 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea), su quelli degli utenti di Internet potenzialmente interessati (protetti dall’articolo 11 di tale Carta). Degna di menzione appare, inoltre, la pronuncia resa in C-18/18, ove la C.G.U.E. ha fornito valide indicazioni in tema di coordinamento tra l’assenza di un obbligo di vigilanza preventiva in capo agli internet service provider ai sensi della direttiva CE 31/2001 ed il diritto alla rimozione di un contenuto illecitamente divulgato.

Non può essere sottaciuta l’introduzione, a partire dall’anno 2016 (sia pure con efficacia differita al maggio 2018) dell’art. 17 del reg. UE 679/2016, rubricato “diritto all’oblio”. Tale articolo rappresenta la prima norma a fare menzione del concetto di oblio (l’art. 11 del d.lgs. 196/2003 conteneva taluni utili appigli, pur non pronunciando espressamente la parola “oblio”), ancorché, come notato in modo sostanzialmente unanime dai commentatori, al di là della rubrica l’art. 17 del reg. UE 679/2016 pare avere più propriamente ad oggetto il diritto alla cancellazione dei dati personali, non risultando sovrapponibile all’istituto giuridico oggetto del presente commento.

Tornando alla giurisprudenza interna, meritano un accenno, in particolare: (i) Cass. Civ. n. 16111/2013, ove la Corte ha (ri)affermato che “la rievocazione di vicende personali ormai dimenticate dal pubblico trova giustificazione nel diritto di cronaca soltanto se siano recentemente accaduti fatti che trovino diretto collegamento con quelle vicende, rinnovandone l'attualità” (massima); (ii) Cass. Civ. n. 13161/2016, ove la S.C., richiamandosi ai principi espressi nella precedente pronuncia n. 5255/2012 ha ritenuto un periodo di due anni e mezzo sufficiente ai fini della perdita di interesse pubblico alla divulgazione di una data notizia e, pertanto, sufficiente alla maturazione del diritto all’oblio, così implicitamente chiarendo come una valutazione caso per caso sia ineliminabile in riferimento all’istituto in esame (cosa peraltro confermata poi espressamente dalla stessa Cassazione a SS.UU. nel 2019); (iii) Cass. Civ. n. 19761/2017 (peraltro adottata a seguito di apposito rinvio pregiudiziale ex art. 267 T.F.U.E.: v. C-398/15), ad avviso della quale la certezza delle relazioni commerciali prevale sul diritto alla riservatezza, così impedendo la cancellazione dai pubblici registri di dati relativi ad un soggetto ricollegabile ad una esperienza imprenditoriale fallimentare; nonché (iv) Cass. Civ. n. 6919/2018, per la quale la fama di un personaggio non costituisce di per sé motivo per negare a tale personaggio il diritto all’oblio, quantomeno fintantoché lo stesso rivesta un ruolo non primario nella vita pubblica nazionale [vale la pena riportarne la massima, indubbiamente validissima per completezza e chiarezza sull’istituto in esame: “il diritto fondamentale all'oblio può subire una compressione, a favore dell'ugualmente fondamentale diritto di cronaca, solo in presenza di specifici e determinati presupposti: 1) il contributo arrecato dalla diffusione dell'immagine o della notizia ad un dibattito di interesse pubblico; 2) l'interesse effettivo ed attuale alla diffusione dell'immagine o della notizia (per ragioni di giustizia, di polizia o di tutela dei diritti e delle libertà altrui, ovvero per scopi scientifici, didattici o culturali), da reputarsi mancante in caso di prevalenza di un interesse divulgativo o, peggio, meramente economico o commerciale del soggetto che diffonde la notizia o l'immagine; 3) l'elevato grado di notorietà del soggetto rappresentato, per la peculiare posizione rivestita nella vita pubblica e, segnatamente, nella realtà economica o politica del Paese; 4) le modalità impiegate per ottenere e nel dare l'informazione, che deve essere veritiera (poiché attinta da fonti affidabili, e con un diligente lavoro di ricerca), diffusa con modalità non eccedenti lo scopo informativo, nell'interesse del pubblico, e scevra da insinuazioni o considerazioni personali, così da evidenziare un esclusivo interesse oggettivo alla nuova diffusione; 5) la preventiva informazione circa la pubblicazione o trasmissione della notizia o dell'immagine a distanza di tempo, in modo da consentire all'interessato il diritto di replica prima della sua divulgazione al grande pubblico. In assenza di tali presupposti, la pubblicazione di una informazione concernente una persona determinata, a distanza di tempo da fatti ed avvenimenti che la riguardano, non può che integrare, pertanto, la violazione del fondamentale diritto all'oblio, come configurato dalle disposizioni normative e dai principi giurisprudenziali suesposti”].   

Più di recente, con sentenza a SS.UU. Civili n. 19681/2019 (pronunciata a seguito dell’ordinanza interlocutoria n. 28084/2018 della sez. III civile), la S.C. ha chiarito che “quando si parla di diritto all’oblio ci si riferisce, in realtà, ad almeno tre differenti situazioni: quella di chi desidera non vedere nuovamente pubblicate notizie relative a vicende, in passato legittimamente diffuse, quando è trascorso un certo tempo tra la prima e la seconda pubblicazione; quella, connessa all’uso di internet ed alla reperibilità delle notizie nella rete, consistente nell’esigenza di collocare la pubblicazione, avvenuta legittimamente molti anni prima, nel contesto attuale (è il caso della sentenza n. 5525 del 2012); e quella, infine, trattata nella (…) sentenza Google Spain (C-131/12, n.d.r.) della Corte di giustizia dell’Unione europea, nella quale l’interessato fa valere il diritto alla cancellazione dei dati”. Indi, dopo aver espressamente dichiarato di voler limitare il proprio intervento nomofilattico alla prima delle tre ipotesi succitate, la Corte ha statuito che ove “una notizia del passato, a suo tempo diffusa nel legittimo esercizio del diritto di cronaca, venga ad essere nuovamente diffusa a distanza di un lasso di tempo significativo, sulla base di una libera scelta editoriale, l’attività svolta dal giornalista riveste un carattere storiografico; per cui il diritto dell’interessato al mantenimento dell’anonimato sulla sua identità personale è prevalente, a meno che non sussista un rinnovato interesse pubblico ai fatti ovvero il protagonista abbia ricoperto o ricopra una funzione che lo renda pubblicamente noto”. In tal modo il Supremo Consesso ha aperto un ulteriore campo di indagine, dato dalle interazioni tra diritto all’oblio e rievocazione storiografica di eventi passati.

Nel quadro ancora in fermento sopra descritto si inserisce, dunque, la pronuncia in commento.

LA VICENDA

La vicenda all’esame della Suprema Corte trae origine dalla riproduzione, all’interno dell’archivio storico on-line di una testata a tiratura nazionale, di due articoli originariamente pubblicati sull’edizione cartacea del giornale ed aventi ad oggetto fatti di cronaca giudiziaria risalenti al 1994, entrambi (o almeno uno di essi) indicizzati dai principali motori di ricerca e, per l’effetto, facilmente individuabili e direttamente consultabili.

Uno degli eredi del soggetto al centro delle cronache giudiziarie dell’epoca, ritenendo quanto sopra pregiudizievole per la reputazione sia del de cuius che della sua famiglia (il cui nome risulta ben noto in taluni ambiti industriali), investiva della vicenda il Garante per la protezione dei dati personali con ricorso ex art. 145 del d.lgs. 196/2003 (nella formulazione ante-riforma apportata con d.lgs. 101/2018), chiedendo: (i) la rimozione degli articoli succitati dal sito web del quotidiano, ovvero, in subordine, (ii) l’aggiornamento degli stessi mediante l´integrazione con i successivi sviluppi processuali – favorevoli al defunto – della vicenda, nonché, in ogni caso, (iii) l´adozione di tutte le misure tecnicamente idonee ad evitare l´indicizzazione degli articoli tramite i motori di ricerca esterni al sito web del quotidiano.

Vistosi rigettare il ricorso in sede amministrativa, il ricorrente, reiterando con lievi modifiche le richieste già sottoposte al vaglio dell’autorità indipendente, impugnava il rigetto innanzi al Tribunale di Milano, il quale, ad esito di un giudizio piuttosto articolato, confermava nella sostanza il pronunciamento del Garante, stanti: (i) la volontaria deindicizzazione degli articoli presso i motori di ricerca generalisti operata (invero già in limine litis) dall’editore del quotidiano; nonché (ii) l’inserimento di una nota di aggiornamento, da parte dell’editore del quotidiano, avente ad oggetto le successive vicende giudiziarie inerenti al de cuius.

Il ricorrente agiva quindi in Cassazione, dinanzi alla quale articolava n. 3 (tre) motivi consistenti: (a) nella violazione e/o falsa applicazione degli artt. 9 (3) e 7 del d.lgs. 196/2003, ai sensi dell'art. 360 (1) (num. 3) c.p.c., per avere il Tribunale di Milano ritenuto sussistere la legittimazione del ricorrente al promovimento dell'azione esclusivamente nella sua qualità di erede del de cuius, e non già in proprio; (b) nell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (segnatamente rappresentato dalla deindicizzazione degli articoli presso i motori di ricerca “generalisti”, reputata come effettivamente avvenuta ad avviso del Tribunale ma contestata dal ricorrente per l’asserita permanenza di un riferimento associato al link alla homepage dell’archivio on-line), ai sensi dell'art. 360 (1) (num. 5) c.p.c.; e (c) nella violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2, 4, 7, 11, 23, 101, 102 del d.lgs. 196/2003, dell'art. 6 della Direttiva 95/46/CE e dell'art. 2 Cost., in riferimento all'art. 360 (1) (num. 3) c.p.c., per avere il Giudice di prime cure ritenuto prevalente l'interesse della collettività alla conoscenza della (datata) notizia, pur in assenza di particolari esigenze che giustifichino la permanenza del dato in un archivio liberamente accessibile e creato in relazione alle (nuove) finalità storico-documentaristiche.

L’editore resistente in prime cure, nonché nella previa fase amministrativa dinanzi al Garante, si costituiva anche nel giudizio di Cassazione con apposito controricorso, sostenendo, in particolare, di non poter eliminare gli articoli ritenuti pregiudizievoli in quanto l’archivio storico on-line altro non sarebbe che la riproposizione su internet di tutti gli scritti pubblicati sull’edizione cartacea del quotidiano; per l’effetto, l’eliminazione di un articolo effettivamente dato alle stampe (e non tempestivamente contestato all’epoca dei fatti) avrebbe finito per pregiudicare l’integrità dell’archivio e le finalità storiografiche ad esso sottese.

Resisteva, altresì, il Garante con proprio controricorso teso a confermare la validità del proprio operato.

LA DECISIONE DELLA SUPREMA CORTE

Oltre al lungo excursus in tema di diritto all’oblio ed alla validissima ricostruzione dei principali arresti giurisprudenziali in materia, la pronuncia in commento risulta di particolare interesse per taluni passaggi in cui la S.C., preso atto della difficoltà di ridurre ad unum l’istituto del diritto all’oblio, ha dimostrato di voler dare continuità agli insegnamenti dettati dalla sentenza n. 5525/2012, ritenendo, per l’effetto, meritevole di conferma la sentenza di prime cure, che di tali insegnamenti ha fatto buon governo.

Coerentemente con Cass. Civ. n. 5525/2012 il Collegio ha mosso il proprio ragionamento dalla constatazione del perdurante interesse pubblico alla diffusione della notizia (in virtù del primario ruolo in ambito economico a livello nazionale rivestito dal de cuius e dai sui successori), nonostante il decorso di oltre quindi anni dalla prima pubblicazione degli articoli asseritamente lesivi. Per l’effetto, la S.C. ha recisamente negato il diritto alla rimozione integrale degli articoli, concordando, invece, con la soluzione di tipo rimediale adottata dal Tribunale di Milano, in cui elementi tipici del diritto all’oblio (in particolare: la de-indicizzazione degli articoli dai motori di ricerca generalisti) sono stati mescolati ad elementi caratteristici della tutela dell’identità personale e morale dell’individuo (in particolare: la contestualizzazione delle notizie relative al de cuius alla luce degli sviluppi successivi delle vicende giudiziarie che lo avevano coinvolto).  

In tal modo, a detta della Cassazione, gli interessi contrapposti sono stati entrambi tutelati, rendendo possibile la pubblicazione della notizia e, al contempo, riducendone gli effetti negativi in capo al de cuius ed ai suoi successori.

Significativo è l’approccio della Cassazione al fattore “tempo”, elemento di carattere oggettivo ineliminabile ai fini dell’applicazione dell’istituto del diritto all’oblio.

Per la Cassazione “non parrebbe corretto individuare il sorgere del diritto all'oblio quale conseguenza automatica del trapasso del soggetto interessato; v) analogamente, il venir meno dell'interesse collettivo alla conoscenza di determinati dati personali non coincide, in via automatica, con il passaggio a miglior vita del titolare. Allo stesso modo, il mero trascorrere del tempo non comporta, ex se, il venir meno dell'interesse alla conoscenza del dato di cronaca, criterio che, se opzionato, comporterebbe la non pertinenza di scopo di ogni archivio di stampa, cartaceo o informatico che sia”.

Ne consegue la necessità di operare di volta in volta una valutazione specifica e basata su tutte le circostanze del caso concreto (quali, in particolare, lo sviluppo tecnologico, le tecniche di veicolazione e circolazione dell'informazione, l’interesse alla riservatezza dell’individuo come ed in quanto contrapposto alle istanze pubbliche o private di accesso, circolazione e sfruttamento delle informazioni).

Con particolare riferimento alla protezione degli archivi storico/giornalistici la S.C. ha ritenuto tale aspetto prevalente, quantomeno nel caso di specie, rispetto al diritto all’oblio. Per arrivare a tale conclusione il Collegio non ha mancato di valorizzare a fini interpretativi le disposizioni del regolamento UE 679/2016 (ancorché inapplicabili ratione temporis al caso di specie), osservando come ivi il diritto all’oblio subisca una compressione allorché il trattamento dei dati sia necessario al perseguimento di finalità di carattere storico.

Fermo quanto precede e confermata, nel merito, la decisione di prime cure, la Cassazione ha finito per rigettare il ricorso per ragioni di carattere procedurale, oltre che sostanziale. A tal proposito, spiace, invero, che il Collegio abbia evitato di pronunciarsi sul primo motivo di ricorso, attinente all’azionabilità del diritto all’oblio da parte del ricorrente non solo in qualità di successore del soggetto leso dalla ripubblicazione della notizia, ma anche in proprio e/o quale portavoce della propria famiglia: risulta, difatti, tutt’ora inesplorato, almeno a quanto consta allo scrivente, il terreno dell’esistenza (ed estensione) di diritti autonomi in capo non già ai soggetti menzionati all’interno di notizie di cronaca (che trovano nel diritto all’oblio un efficace strumento di tutela), bensì dei loro più o meno prossimi congiunti; viene da chiedersi, inoltre, se alla luce del particolare risalto dato dalla S.C. alla tutela dell’identità personale il diritto all’oblio possa oramai dirsi riferibile non già (e non solo) alle persone fisiche, ma anche ad entità collettive (in favore delle quali si ammette oramai pacificamente l’esistenza di un diritto all’“immagine”) siano esse munite o meno di personalità giuridica.

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